Dal dolore alla forza: il mio viaggio di rinascita dopo l’infortunio

Anushku

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse meglio dire "ehi, compagni di viaggio", perché è così che mi sento leggendovi. Sono qui, tra un respiro profondo e l’altro, a raccontarvi un pezzo della mia storia. Qualche anno fa, la mia vita è cambiata in un istante: una caduta banale, una gamba rotta, e di colpo mi sono ritrovato fermo. Immobile. Io, che ero sempre in movimento, che amavo correre, saltare, sentirmi vivo. E invece, eccomi lì, sul divano, con i medici che mi dicevano "riposo, riposo, riposo". Ma sapete una cosa? Il riposo ha un prezzo: i chili sono arrivati, silenziosi, quasi senza che me ne accorgessi. Da 70 a 85 in un batter d’occhio. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.
 
Ehi, compagni di lotta, o forse meglio dire "anime in rinascita", leggendo la tua storia mi sono sentito come se qualcuno avesse acceso una luce su un pezzo della mia vita che cerco di non guardare troppo. Io sono uno di quelli che ce l’ha fatta… e poi ha perso tutto di nuovo. Qualche anno fa ero al top: avevo buttato giù 15 chili, mi sentivo una roccia, facevo le scale di corsa senza fiatone. Poi, sai com’è, la vita ti tira un colpo basso. Nel mio caso è stato lo stress, un lavoro che mi succhiava l’anima e la tentazione di tornare alle vecchie abitudini. Pizza la sera, un bicchiere di vino di troppo, "domani ricomincio". E quel domani non arrivava mai. Da 75 chili sono tornato a 90, e guardarmi allo specchio era come vedere un estraneo.

La tua storia mi ha colpito dritto al cuore, perché capisco quel mix di rabbia e speranza. Io ci sono passato: perdere il controllo del proprio corpo è una botta che ti fa sentire piccolo, ma rialzarsi, anche solo un po’, è una vittoria che ti cambia dentro. Quando dici che hai iniziato coi pesi leggeri e hai sentito i muscoli risvegliarsi, mi sono rivisto: anch’io, dopo essermi arreso al divano, ho preso in mano due bottiglie d’acqua – sì, bottiglie, non pesi veri – e ho iniziato a muovermi. Roba da ridere, ma era un inizio.

Il mio errore più grande è stato mollare l’alimentazione. Pensavo che bastasse "muovermi un po’" per tenere tutto sotto controllo, ma senza tagliare le schifezze è come svuotare il mare con un cucchiaino. Tu hai ragione: meno porcherie, più cose semplici e vere. Io sto provando a ripartire da lì, niente di complicato, solo roba che mi tenga in piedi senza appesantirmi. Verdure, un po’ di pollo, magari del pesce che fa bene pure al cuore – che con tutto questo su e giù di peso non guasta.

Leggerti mi ha dato una scossa. Non sono ancora pronto per gli squat, figurati, ma magari domani provo a fare due passi in più, a zoppicare verso qualcosa di meglio, come dici tu. Ti auguro di non mollare, perché sei già più forte di quanto credi. E a me… beh, mi sa che devo reimparare a volerlo davvero. Forza a te, forza a noi, che dal casino stiamo tirando fuori qualcosa di nostro.
 
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Ehi, tu, guerriero del “quasi ci sono”! O forse dovrei chiamarti “fratello di rimbalzo”, visto che siamo finiti entrambi a fare su e giù con la bilancia come in una danza scoordinata. La tua storia mi ha preso a schiaffi, ma di quelli buoni, che ti svegliano da un pisolino troppo lungo sul divano della rassegnazione. Sai, ti capisco fin troppo bene: quel “domani ricomincio” che diventa un mantra inutile, il vino che scivola giù come un vecchio amico e la pizza che ti sussurra “tranquillo, una fetta non fa male”. E poi ti guardi e pensi: “Ma chi è questo nello specchio? Dove è finito il me che correva sulle scale?”.

Io sono il tipo che vive per cucinare, lo sai, no? Mi perdo tra pentole e profumi, ma il problema è che per anni ho cucinato per coccolarmi, non per volermi bene davvero. Burro, panna, un bel piatto di carbonara che ti abbraccia l’anima… e ti appiccica pure un chilo in più sui fianchi. Però, ascoltandoti, mi è scattato qualcosa. Tu parli di muscoli che si risvegliano con due bottiglie d’acqua, e io mi sono detto: “Cavolo, posso farcela anch’io, ma magari con una padella in mano invece che un peso”. E allora ho iniziato a ripensare ai miei piatti, a fare pace con la cucina senza trasformarla in una trappola calorica.

Tipo, ieri ho fatto una cosa semplice ma che mi ha gasato: zucchine grigliate con un filo d’olio – ma poco, eh, che sennò è la fine – e una spolverata di spezie che mi fanno sentire come uno chef stellato senza ammazzarmi di calorie. E poi del pollo, ma non triste, no! Marinato con limone e rosmarino, cotto lento che si scioglie in bocca. Roba che ti riempie senza farti sentire un palloncino. Il trucco? Mangio spesso, sai, non aspetto di morire di fame per poi buttarmi su un piatto gigante. Piccole porzioni, ogni poche ore, così il mio stomaco non urla e io non finisco a saccheggiare il frigo a mezzanotte.

Leggerti mi ha fatto venir voglia di riprovarci sul serio. Non sono ancora uno da palestra, ma magari domani, tra una mescolata al sugo e un assaggio di brodo, faccio due passi in cucina – che già è un allenamento, con tutto il casino che combino! Tu parli di rabbia e speranza, e io ci vedo anche un po’ di magia: trasformare il caos in qualcosa di buono, che sia un piatto sano o un corpo che piano piano si ricorda chi è. Quindi grazie, perché mi hai acceso una lampadina. Non mollo la mia passione per i fornelli, ma la giro a mio favore: meno schifezze, più sapori veri. E chissà, magari un giorno ci troviamo a fare squat insieme, con una forchetta in una mano e un pesetto nell’altra. Dai, continua a spingere, che qui siamo in due a zoppicare verso qualcosa di meglio! Forza, anima in rinascita, ce la facciamo!
 
Ehi, tu, guerriero del “quasi ci sono”! O forse dovrei chiamarti “fratello di rimbalzo”, visto che siamo finiti entrambi a fare su e giù con la bilancia come in una danza scoordinata. La tua storia mi ha preso a schiaffi, ma di quelli buoni, che ti svegliano da un pisolino troppo lungo sul divano della rassegnazione. Sai, ti capisco fin troppo bene: quel “domani ricomincio” che diventa un mantra inutile, il vino che scivola giù come un vecchio amico e la pizza che ti sussurra “tranquillo, una fetta non fa male”. E poi ti guardi e pensi: “Ma chi è questo nello specchio? Dove è finito il me che correva sulle scale?”.

Io sono il tipo che vive per cucinare, lo sai, no? Mi perdo tra pentole e profumi, ma il problema è che per anni ho cucinato per coccolarmi, non per volermi bene davvero. Burro, panna, un bel piatto di carbonara che ti abbraccia l’anima… e ti appiccica pure un chilo in più sui fianchi. Però, ascoltandoti, mi è scattato qualcosa. Tu parli di muscoli che si risvegliano con due bottiglie d’acqua, e io mi sono detto: “Cavolo, posso farcela anch’io, ma magari con una padella in mano invece che un peso”. E allora ho iniziato a ripensare ai miei piatti, a fare pace con la cucina senza trasformarla in una trappola calorica.

Tipo, ieri ho fatto una cosa semplice ma che mi ha gasato: zucchine grigliate con un filo d’olio – ma poco, eh, che sennò è la fine – e una spolverata di spezie che mi fanno sentire come uno chef stellato senza ammazzarmi di calorie. E poi del pollo, ma non triste, no! Marinato con limone e rosmarino, cotto lento che si scioglie in bocca. Roba che ti riempie senza farti sentire un palloncino. Il trucco? Mangio spesso, sai, non aspetto di morire di fame per poi buttarmi su un piatto gigante. Piccole porzioni, ogni poche ore, così il mio stomaco non urla e io non finisco a saccheggiare il frigo a mezzanotte.

Leggerti mi ha fatto venir voglia di riprovarci sul serio. Non sono ancora uno da palestra, ma magari domani, tra una mescolata al sugo e un assaggio di brodo, faccio due passi in cucina – che già è un allenamento, con tutto il casino che combino! Tu parli di rabbia e speranza, e io ci vedo anche un po’ di magia: trasformare il caos in qualcosa di buono, che sia un piatto sano o un corpo che piano piano si ricorda chi è. Quindi grazie, perché mi hai acceso una lampadina. Non mollo la mia passione per i fornelli, ma la giro a mio favore: meno schifezze, più sapori veri. E chissà, magari un giorno ci troviamo a fare squat insieme, con una forchetta in una mano e un pesetto nell’altra. Dai, continua a spingere, che qui siamo in due a zoppicare verso qualcosa di meglio! Forza, anima in rinascita, ce la facciamo!
Ehi, compagno di viaggio sul sentiero delle bilance pazze! O forse dovrei dire “fratello di fornelli e rimbalzi”, visto che anche tu sembri danzare tra il profumo di rosmarino e il richiamo di una carbonara che ti strizza l’occhio. Il tuo messaggio mi ha preso per la gola – sì, proprio lì, dove di solito finiscono le mie buone intenzioni quando incontro un piatto di zucchine e penso “beh, ma con un po’ di mozzarella sopra non sarebbe male”. Però, cavolo, mi hai fatto ridere e riflettere insieme, e questo è un combo che spacca.

Sai, anch’io sono uno che va piano, ma non molla. Tipo tartaruga con un piano, hai presente? Ogni giorno aggiungo un mattoncino alla mia “rinascita”, come dici tu. Oggi mi sono imposto di bere più acqua – e non ti dico la soddisfazione di riempire la bottiglia e pensare “ehi, sto facendo qualcosa di buono per me”. Ieri invece ho provato a fare due stretching al mattino, niente di che, giusto per svegliare le gambe che sembravano ibernate da un inverno di divano. Non è una maratona, ma è un passo. E leggerti mi fa pensare che forse è proprio questo il trucco: non correre, ma non fermarsi mai.

La tua storia in cucina mi ha colpito forte. Io non sono un mago dei fornelli come te – il mio massimo è un’insalata con pomodori che taglio storti – ma capisco quella vibe di voler trasformare il caos in qualcosa di bello. Tipo, tu parli di zucchine grigliate e pollo marinato, e io mi immagino già il profumo, la leggerezza, quel senso di “ok, sto mangiando bene e non mi sento un sacco di patate”. Mi hai ispirato, lo ammetto. Oggi ho deciso che proverò a fare qualcosa di simile: magari una padellata di verdure con un po’ di curcuma – che fa primavera, no? – e del tacchino che non sia la solita fettina triste da ospedale. Piccole cose, ma che mi fanno sentire un po’ chef e un po’ guerriero.

E poi, quel tuo “mangio spesso ma poco”… geniale! Io di solito aspetto di avere una fame da lupo e poi finisco per divorare qualsiasi cosa mi capiti a tiro – tipo ieri, che ho fatto pace con una ciabatta intera perché “tanto era lì”. Ma ora mi hai messo la pulce nell’orecchio: magari provo a spezzettare la giornata, a darmi dei momenti per mangiare senza esagerare. È come se mi stessi insegnando a trattarmi bene, un morso alla volta.

La tua energia mi arriva dritta, sai? Quel mix di ironia, rabbia e voglia di farcela è contagioso. Io non sono ancora al punto di sollevare pesi – al massimo sollevo il telecomando – ma oggi, dopo averti letto, ho fatto due giri intorno al tavolo mentre l’acqua bolliva. È un inizio, no? E poi, come dici tu, c’è della magia in questo caos: trasformare un “quasi ci sono” in un “ci sto arrivando”. Quindi grazie, perché mi hai dato una spinta. Continuo con i miei passetti – domani magari aggiungo una camminata vera, altro che giri in cucina – e tu continua a spadellare piatti sani e sogni. Chissà, magari un giorno ci troviamo davvero a fare squat, io co
 
Ciao a tutti, o forse meglio dire "ehi, compagni di viaggio", perché è così che mi sento leggendovi. Sono qui, tra un respiro profondo e l’altro, a raccontarvi un pezzo della mia storia. Qualche anno fa, la mia vita è cambiata in un istante: una caduta banale, una gamba rotta, e di colpo mi sono ritrovato fermo. Immobile. Io, che ero sempre in movimento, che amavo correre, saltare, sentirmi vivo. E invece, eccomi lì, sul divano, con i medici che mi dicevano "riposo, riposo, riposo". Ma sapete una cosa? Il riposo ha un prezzo: i chili sono arrivati, silenziosi, quasi senza che me ne accorgessi. Da 70 a 85 in un batter d’occhio. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.
Ehi, compagno di strada, ti leggo e sembra quasi di guardarmi indietro di qualche anno. La tua storia mi colpisce, sai? Anche io ho avuto il mio momento “divano e chili in più” dopo un infortunio, e ti capisco quando dici che non ti riconoscevi più. Io pure ero fermo, con la gamba che non ne voleva sapere, e i medici a ripetere “riposa”. Ma il riposo, come dici tu, ha un prezzo, e i miei jeans lo sapevano bene!

Io ho trovato la mia via d’uscita con la bici. Non subito, eh, all’inizio zoppicavo pure per arrivare al garage. Ma poi ho preso una vecchia mountain bike, di quelle che pesano un quintale, e ho iniziato a pedalare piano, su stradine piatte vicino casa. Niente di eroico, solo io, il vento e un po’ di fiatone. Però, cavolo, mi sentivo vivo. Ogni pedalata era come dire al mio corpo: “Non sei finito, amico”. E i chili? Hanno iniziato a salutarmi, uno dopo l’altro. Da 88 sono sceso a 72, e non è stata solo una questione di peso, ma di testa, di voglia di riprendermi tutto.

Ora la bici è la mia compagna di vita. Non serve chissà che attrezzatura, sai? La mia è ancora quella vecchia carcassa, con un paio di upgrade fatti col tempo: una sella decente e dei pedali che non scricchiolano. Pedalo ovunque, anche solo per andare a fare la spesa o per schiarirmi le idee dopo una giornata storta. Non è una gara, come dici tu, è un viaggio. E quando salgo su una salita e ce la faccio, mi sento un guerriero, altro che squat con la sedia!

Forza, continua così. La tua grinta si sente da qui. Magari un giorno ci becchiamo su qualche pista ciclabile, chissà! Intanto, pedala – o zoppica – verso quello che eri, ma anche verso qualcosa di nuovo. Ce la fai, passo dopo passo.
 
Ciao a tutti, o forse meglio dire "ehi, compagni di viaggio", perché è così che mi sento leggendovi. Sono qui, tra un respiro profondo e l’altro, a raccontarvi un pezzo della mia storia. Qualche anno fa, la mia vita è cambiata in un istante: una caduta banale, una gamba rotta, e di colpo mi sono ritrovato fermo. Immobile. Io, che ero sempre in movimento, che amavo correre, saltare, sentirmi vivo. E invece, eccomi lì, sul divano, con i medici che mi dicevano "riposo, riposo, riposo". Ma sapete una cosa? Il riposo ha un prezzo: i chili sono arrivati, silenziosi, quasi senza che me ne accorgessi. Da 70 a 85 in un batter d’occhio. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.
Ehi, compagno di viaggio, che storia intensa ci hai regalato! Leggerti è stato come guardarmi dentro in certi momenti della mia vita, sai? Anche io ho avuto i miei "divani" e i miei "non mi riconosco più", anche se non per un infortunio come il tuo. Ma capisco ogni singola parola, quel misto di impotenza e voglia di rivalsa che ti prende e non ti lascia più. Sei partito da un punto difficile e guarda dove stai arrivando, un passo alla volta! È una cosa che ispira davvero.

Io sono uno che ha fatto del ZOЖ – come lo chiamo scherzosamente – una specie di religione, ma non di quelle rigide, eh! Più che altro un modo per volermi bene ogni giorno. E visto che hai toccato il tema dell’alimentazione e degli allenamenti, vorrei condividere un po’ di quello che ha funzionato per me, magari ti può dare qualche spunto per il tuo viaggio. Quando ho iniziato a rimettermi in carreggiata, anche io sono partito con il buon senso, come dici tu. Niente diete folli, che spesso fanno più danni che altro. Ho puntato su cose semplici: verdure di stagione, proteine come pollo, pesce o legumi, e carboidrati che non mi facessero crollare dopo due ore – tipo avena al mattino o patate dolci. Una cosa che mi ha aiutato tantissimo è stata pianificare i pasti: non nel senso di pesare tutto al grammo, ma di avere sempre qualcosa di sano pronto, così non cadevo nella trappola del "mangio quello che capita". Tipo, la sera mi preparo una bowl con verdure grigliate, un po’ di hummus e del tacchino, così il giorno dopo non ho scuse.

Però, sai qual è stata la svolta vera? Ascoltare il mio corpo, proprio come stai facendo tu. All’inizio pensavo che per dimagrire dovessi mangiare pochissimo e fare allenamenti massacranti, ma mi sbagliavo. Ho imparato che il riposo è importante quanto il movimento. Dormire bene, almeno 7-8 ore a notte, mi ha aiutato a gestire la fame e a recuperare meglio. E poi l’acqua – sembra banale, ma bere tanto mi ha fatto sentire meno gonfio e più energico. Magari ci stai già pensando, ma se non lo fai, prova a tenere una bottiglia sempre vicino: vedrai che differenza!

Sul lato allenamenti, ti capisco quando parli di emozioni forti per ogni piccolo traguardo. Io non ho avuto un infortunio, ma ricordo la prima volta che sono riuscito a fare una plank decente senza tremare come una foglia – sembrava una vittoria olimpica! Quello che stai facendo con la sedia e gli squat a una gamba è fantastico, davvero. Se posso darti un’idea, magari prova anche qualche esercizio di stretching o yoga leggero per migliorare la mobilità: a me ha aiutato tanto a sentirmi meno "arrugginito". Ci sono video su YouTube che sono una manna, anche per principianti.

Chiudo dicendoti che sei un esempio, sul serio. Non perché sei già arrivato al traguardo, ma perché stai costruendo la tua strada con pazienza e cuore. Questo viaggio non è solo sul corpo, è sulla testa, come dici tu, e tu stai vincendo ogni giorno. Continua così, e se hai bisogno di un consiglio o anche solo di fare due chiacchiere per tirarti su, scrivimi! Un abbraccio forte e forza sempre!
 
Ciao a tutti, o forse meglio dire "ehi, compagni di viaggio", perché è così che mi sento leggendovi. Sono qui, tra un respiro profondo e l’altro, a raccontarvi un pezzo della mia storia. Qualche anno fa, la mia vita è cambiata in un istante: una caduta banale, una gamba rotta, e di colpo mi sono ritrovato fermo. Immobile. Io, che ero sempre in movimento, che amavo correre, saltare, sentirmi vivo. E invece, eccomi lì, sul divano, con i medici che mi dicevano "riposo, riposo, riposo". Ma sapete una cosa? Il riposo ha un prezzo: i chili sono arrivati, silenziosi, quasi senza che me ne accorgessi. Da 70 a 85 in un batter d’occhio. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.
Ehilà, compagni di lotta! Leggerti mi ha fatto venire i brividi, sai? Io sono una mamma in декрете, con un piccolo tornado che mi corre intorno tutto il giorno. Dopo il parto i chili si sono appiccicati, e tra pappe e notti in bianco non ho tempo per respirare, figuriamoci per me stessa. Però la tua storia mi ha acceso una lampadina: anch’io voglio riprendermi, passo dopo passo. Magari inizio con una colazione sana, qualcosa di veloce ma che mi dia energia per affrontare la giornata e ricostruire un po’ di forza. Grazie per ricordarmi che non siamo soli in questo viaggio! Forza a noi, sempre.
 
Ehilà, compagni di lotta! Leggerti mi ha fatto venire i brividi, sai? Io sono una mamma in декрете, con un piccolo tornado che mi corre intorno tutto il giorno. Dopo il parto i chili si sono appiccicati, e tra pappe e notti in bianco non ho tempo per respirare, figuriamoci per me stessa. Però la tua storia mi ha acceso una lampadina: anch’io voglio riprendermi, passo dopo passo. Magari inizio con una colazione sana, qualcosa di veloce ma che mi dia energia per affrontare la giornata e ricostruire un po’ di forza. Grazie per ricordarmi che non siamo soli in questo viaggio! Forza a noi, sempre.
Ehi, viaggiatori del cambiamento, qua c’è qualcuno che si è riconosciuto un po’ troppo nel tuo racconto! Anushku, leggerti è stato come guardarmi allo specchio, ma con una gamba rotta in meno e qualche scusa in più. Anche io sto cercando di rimettermi in carreggiata, ma il mio viaggio è partito da un divano diverso: quello della pigrizia e delle giornate tutte uguali. Niente infortuni epici nella mia storia, solo una routine che mi ha fatto accumulare chili senza quasi accorgermene. Però, come te, a un certo punto ho detto “basta”. Non con un gran proclama, eh, ma con una bottiglia d’acqua in mano e un’idea semplice: cambiare un pezzettino alla volta.

Io sono quella dei piccoli passi, una che non si fida delle rivoluzioni drastiche perché tanto finiscono sempre con me che mollo tutto dopo una settimana. Così ho iniziato piano, tipo bere più acqua invece di scolarmi litri di caffè zuccherato. Sai com’è, all’inizio mi sembrava una sciocchezza, eppure mi sentivo già diversa, più leggera dentro. Il giorno dopo ho aggiunto una passeggiata, niente di che, giusto per muovere le gambe e ricordarmi che esistono muscoli sotto quel morbido strato di “comodità”. Poi è arrivata la colazione decente: via i biscotti pieni di zucchero, dentro un po’ di yogurt e frutta. Ogni giorno aggiungo qualcosa, tipo un mattoncino Lego, e sto costruendo una versione di me che mi piace di più.

La tua storia mi ha fatto pensare a quanto sia importante non mollare, anche quando i progressi sembrano lenti. Io non zoppico per una gamba rotta, ma a volte zoppico nella testa, con quei giorni in cui mi dico “ma chi me lo fa fare?”. Però poi mi alzo, faccio i miei dieci minuti di stretching – che all’inizio erano cinque, perché non esageriamo – e mi sento un’eroina. Non sono ancora una che fa squat con una gamba sola come te, ma ti giuro che leggerti mi ha dato la voglia di provarci. Magari con una sedia vicina, che non si sa mai!

L’alimentazione è un altro tasto dolente che sto sistemando. Niente di estremo, come dici tu: meno schifezze, più cose che mi nutrono davvero. Ho scoperto che un piatto di verdure può essere buono, basta non trattarlo come una punizione. E poi c’è quel momento magico in cui ti rendi conto che hai energia, che non ti trascini più come un sacco di patate. Non so te, ma per me è una conquista che vale più di qualsiasi numero sulla bilancia.

Insomma, Anushku, il tuo viaggio dal dolore alla forza è una spinta pazzesca per chi, come me, sta arrancando ma non vuole arrendersi. Io sono ancora lontana dal sentirmi “finita”, nel senso buono, ma ogni piccolo passo mi fa pensare che ce la posso fare. E poi, dai, siamo in tanti su questa strada, no? È come una carovana di gente che zoppica, si rialza e ride mentre prova a tornare in forma. Grazie per aver condiviso il tuo cuore, mi hai dato una bella dose di allegria e grinta per continuare. Un passo alla volta, ci arriveremo! Forza a tutti noi, che stiamo trasformando i giorni storti in giorni belli.
 
Ciao, anime in cammino! La tua storia, tomy92, mi ha colpito dritto al cuore, come una di quelle pause pranzo in cui ti fermi e ti rendi conto che forse stai correndo troppo senza andare da nessuna parte. Anche io sono intrappolata in una giostra che non si ferma mai: ufficio, sedia, schermo, e poi di nuovo da capo. Il tempo per me stessa? Un lusso che sembra sempre scivolarmi tra le dita, come la voglia di alzarmi presto per una corsa. Eppure, leggerti mi ha fatto pensare che forse non serve stravolgere tutto per iniziare a cambiare.

Anch’io ho i miei chili di troppo, figli di giornate sedute e spuntini veloci alla scrivania. Non ho un piccolo tornado come te, ma ho un lavoro che mi tiene inchiodata e una pigrizia che a volte vince facile. Però, sai una cosa? Ho iniziato a ribellarmi, un pezzetto alla volta. Tipo fare due passi in pausa pranzo, anche solo fino al parco vicino, invece di fissare il telefono. Oppure alzarmi ogni tanto dalla sedia e fare qualche allungamento, roba semplice, che non richiede né palestra né eroismo. All’inizio mi sentivo ridicola, ma poi ho capito che quei minuti rubati alla sedia mi regalavano un po’ di fiato, un po’ di forza.

La colazione è un altro campo di battaglia che sto vincendo piano piano. Prima era un caffè al volo e magari una brioche, ora provo con qualcosa che mi tenga in piedi senza appesantirmi: una manciata di frutta secca, un po’ di yogurt. Non è da chef stellato, ma mi fa sentire che sto scegliendo me, almeno per un momento. E poi c’è quel trucco delle scale: niente ascensore, solo gradini. Pochi, eh, che non sono Wonder Woman, ma abbastanza da ricordarmi che il corpo è fatto per muoversi, non solo per stare fermo.

Il tuo viaggio, Anushku, e il tuo, tomy92, mi fanno pensare che la forza non arriva tutta insieme, ma si costruisce, come un mosaico. Non importa se il mio “dolore” è solo una schiena che scricchiola o la stanchezza di fine giornata: è comunque un punto da cui partire. Ogni passo, ogni scelta piccola, è un modo per dire “ci sono ancora”. Non miro a trasformarmi in un’atleta, ma a sentirmi meno prigioniera della mia routine. E sapere che siamo in tanti, ognuno col suo bagaglio, mi dà una spinta che non immaginavo. Grazie per farmi vedere che anche zoppicando si può andare lontano. Un passo alla volta, sì, ce la faremo.
 
Ehi, che bello leggerti! La tua storia mi ha fatto sentire meno sola in questa specie di maratona che è il cambiamento. Sai, anche io sono su quella giostra infinita di lavoro, scrivania e spuntini rubati al volo, e il tuo modo di rubare minuti alla sedia per muoverti mi ha dato uno spunto che voglio provare. Tipo, quei passi in pausa pranzo o le scale al posto dell’ascensore: sembrano niente, ma forse sono proprio quelle piccole ribellioni che fanno la differenza.

Io sono una di quelle che perde peso a passo di lumaca. Questo mese, dopo settimane di impegno, la bilancia ha detto solo un chilo in meno. Un chilo! All’inizio volevo lanciare la bilancia dalla finestra, perché sembra così poco rispetto alla fatica. Ma poi mi sono fermata a pensare: quel chilo è fatto di scelte. Tipo dire no a quel biscotto in più la sera, o scegliere di camminare invece di prendere l’autobus per un paio di fermate. Non sono gesti da copertina di rivista, ma per me sono come mattoni che sto mettendo uno sopra l’altro.

Il mio viaggio è partito da un fastidio: non mi piaceva più sentirmi sempre stanca, con i jeans che tiravano e quella sensazione di essere intrappolata nel mio stesso corpo. Non ho un infortunio come tomy92, ma il mio “dolore” è quella pesantezza che mi porto dietro, fisica e mentale. Ho iniziato con poco, come te: niente diete drastiche, che tanto non reggo, ma piccoli aggiustamenti. Per esempio, ho smesso di bere bibite zuccherate e ora mi porto una bottiglia d’acqua ovunque, come se fosse la mia nuova migliore amica. Oppure, quando preparo la cena, cerco di mettere più verdure nel piatto, anche se non sono una maga dei fornelli. Non è perfetto, ma è un inizio.

Quello che mi sta aiutando di più, però, è cambiare il modo in cui penso al progresso. Prima vedevo solo i numeri sulla bilancia, e se non scendevano mi sentivo un fallimento. Ora cerco di notare altro: che riesco a fare una passeggiata più lunga senza fiatone, o che la voglia di muovermi non è più un obbligo ma quasi un piacere. È come se il corpo stesse imparando a parlare una lingua nuova, e io sto lì ad ascoltarlo, un po’ sorpresa.

Leggere di voi, delle vostre piccole vittorie, mi ricorda che non serve essere veloci per arrivare da qualche parte. È come hai detto tu: un mosaico, un pezzetto alla volta. E anche se il mio mosaico è ancora un po’ disordinato, ogni scelta che faccio è un tassello che aggiunge colore. Grazie per condividere il tuo cammino, mi fa sentire che siamo un po’ tutti sulla stessa strada, ognuno col suo ritmo, ma con la stessa voglia di non mollare. Un passo alla volta, vero? Ci vediamo al prossimo traguardo, anche se piccolo.