Ciao a tutti, o forse meglio dire "ehi, compagni di viaggio", perché è così che mi sento leggendovi. Sono qui, tra un respiro profondo e l’altro, a raccontarvi un pezzo della mia storia. Qualche anno fa, la mia vita è cambiata in un istante: una caduta banale, una gamba rotta, e di colpo mi sono ritrovato fermo. Immobile. Io, che ero sempre in movimento, che amavo correre, saltare, sentirmi vivo. E invece, eccomi lì, sul divano, con i medici che mi dicevano "riposo, riposo, riposo". Ma sapete una cosa? Il riposo ha un prezzo: i chili sono arrivati, silenziosi, quasi senza che me ne accorgessi. Da 70 a 85 in un batter d’occhio. Mi guardavo allo specchio e non mi riconoscevo più.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.
All’inizio è stata dura. Non parlo solo del dolore fisico, ma di quella sensazione di impotenza, di vedermi cambiare e non sapere da dove ricominciare. Poi, un giorno, ho deciso: basta. Non potevo lasciare che la mia vita finisse lì, intrappolata in un corpo che non sentivo più mio. Ho iniziato piano, con quello che potevo fare. La gamba non era ancora al 100%, ma ho scoperto che potevo lavorare sulla parte alta del corpo. Ho preso dei pesi leggeri, di quelli che quasi mi vergognavo a usare, e ho iniziato. Spalle, braccia, schiena. Sentivo i muscoli risvegliarsi, e con loro anche un po’ di speranza.
L’alimentazione è stata la vera rivoluzione. Niente diete assurde, solo buon senso: meno schifezze, più cose vere. Verdure, proteine magre, qualche carboidrato per darmi energia. Ho imparato ad ascoltare il mio corpo, a capire di cosa aveva bisogno per guarire e tornare forte. Non è stato facile, soprattutto quando vedevo gli altri al parco che correvano mentre io ero ancora lì, a zoppicare. Ma sapete che vi dico? Ogni passo, anche piccolo, mi ha fatto sentire più vicino a me stesso.
Adesso sono a metà strada. Non sono ancora quello di prima, ma non sono più nemmeno quello del divano. Con gli allenamenti adattati sto ricostruendo la mia forza, un pezzo alla volta. Faccio squat con una gamba sola, usando una sedia per sostenermi, e vi giuro che la prima volta che ci sono riuscito ho quasi pianto. Non è solo il corpo che si sta trasformando, è la testa. Ogni ripetizione mi ricorda che posso farcela, che non sono finito.
Scrivo questo con il cuore in mano, perché so che qui c’è chi capisce. Chi è caduto, letteralmente o no, e sta provando a rialzarsi. Non è una gara, non è una corsa contro il tempo. È un viaggio, e io sto imparando ad amare ogni passo, anche quelli zoppicanti. Forza a tutti noi, che dal dolore stiamo tirando fuori qualcosa di bello.