Mangiare consapevolmente: funziona davvero per noi uomini?

6 Marzo 2025
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Ragazzi, confesso che sono un po’ scettico su questa cosa del mangiare consapevolmente. Cioè, capisco il concetto: mangiare piano, gustare ogni boccone, ascoltare il corpo per capire quando sei davvero affamato o sazio. Ma funziona davvero per noi uomini? Non so voi, ma io sono abituato a mangiare in fretta, magari davanti alla TV o mentre lavoro, e l’idea di rallentare mi sembra quasi una perdita di tempo. Eppure, da un mese sto provando a seguire questo approccio, più per curiosità che per convinzione, e qualcosa sta cambiando, anche se non sono sicuro di cosa pensare.
All’inizio è stato strano. Mi sedevo a tavola, posavo la forchetta tra un boccone e l’altro, cercavo di concentrarmi sul sapore del cibo invece di buttarlo giù e basta. La prima settimana mi sentivo ridicolo, come se stessi recitando una parte. Però poi ho notato che mangiavo meno. Non perché mi forzassi, ma perché mi accorgevo prima di essere pieno. Tipo, una porzione di pasta che di solito finivo in dieci minuti, ora mi basta e avanza. È una cosa che mi lascia perplesso: possibile che basti rallentare per controllare quanto mangio? Non è che sia dimagrito chissà quanto, per ora forse un chilo, ma è più la sensazione di non sentirmi gonfio o appesantito dopo i pasti.
Il punto è che non sono ancora convinto. Forse è solo un effetto placebo, o magari sto solo più attento perché ci sto pensando troppo. E poi, diciamocelo, noi uomini non siamo proprio famosi per la pazienza. Mangiare così richiede tempo, concentrazione, e a volte mi chiedo se ne valga la pena. Certo, leggo in giro che aiuta anche la testa, non solo il corpo, tipo a ridurre lo stress o a sentirsi più in pace con se stessi. Io lo stress lo sento ancora, soprattutto quando mi capita di mangiare di corsa per abitudine e poi mi pento. Qualcuno di voi ha provato sul serio questo metodo? Funziona a lungo andare o è solo una moda? Perché io sono combattuto: da una parte mi piace l’idea di avere più controllo, dall’altra mi sembra una fatica inutile per uno come me che ha sempre visto il cibo come carburante e via.
 
Ragazzi, confesso che sono un po’ scettico su questa cosa del mangiare consapevolmente. Cioè, capisco il concetto: mangiare piano, gustare ogni boccone, ascoltare il corpo per capire quando sei davvero affamato o sazio. Ma funziona davvero per noi uomini? Non so voi, ma io sono abituato a mangiare in fretta, magari davanti alla TV o mentre lavoro, e l’idea di rallentare mi sembra quasi una perdita di tempo. Eppure, da un mese sto provando a seguire questo approccio, più per curiosità che per convinzione, e qualcosa sta cambiando, anche se non sono sicuro di cosa pensare.
All’inizio è stato strano. Mi sedevo a tavola, posavo la forchetta tra un boccone e l’altro, cercavo di concentrarmi sul sapore del cibo invece di buttarlo giù e basta. La prima settimana mi sentivo ridicolo, come se stessi recitando una parte. Però poi ho notato che mangiavo meno. Non perché mi forzassi, ma perché mi accorgevo prima di essere pieno. Tipo, una porzione di pasta che di solito finivo in dieci minuti, ora mi basta e avanza. È una cosa che mi lascia perplesso: possibile che basti rallentare per controllare quanto mangio? Non è che sia dimagrito chissà quanto, per ora forse un chilo, ma è più la sensazione di non sentirmi gonfio o appesantito dopo i pasti.
Il punto è che non sono ancora convinto. Forse è solo un effetto placebo, o magari sto solo più attento perché ci sto pensando troppo. E poi, diciamocelo, noi uomini non siamo proprio famosi per la pazienza. Mangiare così richiede tempo, concentrazione, e a volte mi chiedo se ne valga la pena. Certo, leggo in giro che aiuta anche la testa, non solo il corpo, tipo a ridurre lo stress o a sentirsi più in pace con se stessi. Io lo stress lo sento ancora, soprattutto quando mi capita di mangiare di corsa per abitudine e poi mi pento. Qualcuno di voi ha provato sul serio questo metodo? Funziona a lungo andare o è solo una moda? Perché io sono combattuto: da una parte mi piace l’idea di avere più controllo, dall’altra mi sembra una fatica inutile per uno come me che ha sempre visto il cibo come carburante e via.
Ehi, capisco perfettamente il tuo scetticismo, sai? Anche io all’inizio pensavo che ’sta cosa del mangiare consapevolmente fosse più una roba da guru che da tipi come noi. Ti dirò, pure io sono uno che spalava il piatto in cinque minuti netti, magari con la TV a tutto volume o il telefono in mano. Però, senti questa: da quando ho il cane, è cambiato tutto, e non solo per il cibo. Il mio Tyson, un labrador che sembra un trattore quando tira al guinzaglio, mi ha praticamente costretto a muovermi. E mentre lui mi trascina per il parco, ho iniziato a pensare di più anche a come mangio.

Non fraintendermi, non sono diventato un monaco zen che medita su ogni fettina di zucchina. Ma, tipo te, ho provato a rallentare, più che altro perché dopo le passeggiate con Tyson mi sentivo meno famelico, meno "devo riempirmi subito". E hai ragione, succede una cosa assurda: ti accorgi che sei sazio prima. Io, per esempio, facevo fuori un piatto di risotto come se fosse una gara, e ora? Me ne basta metà e sto bene. Non è tanto il chilo in meno sul peso, che comunque fa piacere, ma proprio quella sensazione di leggerezza che dici tu. Niente più mattoni nello stomaco.

Però, ti do ragione pure sul fatto che non è facile. Noi uomini siamo abituati a vedere il pasto come una missione da completare, non un’esperienza da gustare. E sì, ci vuole pazienza, che non è proprio il mio forte. A volte cedo ancora, mangio di corsa e poi mi sento uno schifo, proprio come scrivi tu. Ma il trucco, per me, è stato legarlo al ritmo del cane. Esco con lui, cammino, mi stanco, e quando torno a casa ho meno voglia di strafogarmi. È come se Tyson mi desse una mano a non vedere il cibo solo come benzina, ma come qualcosa che posso godermi senza esagerare.

Funziona a lungo andare? Boh, io ci sto ancora provando. Non è una moda da hippy, te lo assicuro, ma non è nemmeno una passeggiata. Secondo me, il punto è trovare un equilibrio che non ti faccia sentire un alieno. Magari non devi posare la forchetta ogni boccone come un rituale, ma solo darti il tempo di respirare. E poi, diciamolo: se rallenti col cibo e ti muovi un po’ di più – che sia col cane o no – qualcosa si smuove. Io non sono ancora un fanatico del mangiare consapevole, ma tra un piatto di pasta e una corsa dietro a Tyson, sto capendo che forse non è solo una perdita di tempo. Tu che ne pensi, alla fine? Ti convince o resti sul "mah, sarà" come me?
 
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Ragazzi, confesso che sono un po’ scettico su questa cosa del mangiare consapevolmente. Cioè, capisco il concetto: mangiare piano, gustare ogni boccone, ascoltare il corpo per capire quando sei davvero affamato o sazio. Ma funziona davvero per noi uomini? Non so voi, ma io sono abituato a mangiare in fretta, magari davanti alla TV o mentre lavoro, e l’idea di rallentare mi sembra quasi una perdita di tempo. Eppure, da un mese sto provando a seguire questo approccio, più per curiosità che per convinzione, e qualcosa sta cambiando, anche se non sono sicuro di cosa pensare.
All’inizio è stato strano. Mi sedevo a tavola, posavo la forchetta tra un boccone e l’altro, cercavo di concentrarmi sul sapore del cibo invece di buttarlo giù e basta. La prima settimana mi sentivo ridicolo, come se stessi recitando una parte. Però poi ho notato che mangiavo meno. Non perché mi forzassi, ma perché mi accorgevo prima di essere pieno. Tipo, una porzione di pasta che di solito finivo in dieci minuti, ora mi basta e avanza. È una cosa che mi lascia perplesso: possibile che basti rallentare per controllare quanto mangio? Non è che sia dimagrito chissà quanto, per ora forse un chilo, ma è più la sensazione di non sentirmi gonfio o appesantito dopo i pasti.
Il punto è che non sono ancora convinto. Forse è solo un effetto placebo, o magari sto solo più attento perché ci sto pensando troppo. E poi, diciamocelo, noi uomini non siamo proprio famosi per la pazienza. Mangiare così richiede tempo, concentrazione, e a volte mi chiedo se ne valga la pena. Certo, leggo in giro che aiuta anche la testa, non solo il corpo, tipo a ridurre lo stress o a sentirsi più in pace con se stessi. Io lo stress lo sento ancora, soprattutto quando mi capita di mangiare di corsa per abitudine e poi mi pento. Qualcuno di voi ha provato sul serio questo metodo? Funziona a lungo andare o è solo una moda? Perché io sono combattuto: da una parte mi piace l’idea di avere più controllo, dall’altra mi sembra una fatica inutile per uno come me che ha sempre visto il cibo come carburante e via.
Ehi, capisco benissimo il tuo scetticismo, anch’io all’inizio pensavo che queste cose fossero solo chiacchiere da guru del benessere. Mangiare consapevolmente può sembrare una roba strana, soprattutto per noi che siamo abituati a divorare tutto in cinque minuti senza neanche guardare il piatto. Però ti dico la mia: io sono passato per l’intervallo, il famoso 16/8, e qualcosa di simile a quello che descrivi l’ho vissuto pure io, ma con un approccio diverso.

Non è tanto il rallentare per forza, ma il capire davvero quando il corpo dice “basta”. Con il digiuno intermittente ho imparato a distinguere la fame vera da quella abitudine, tipo quando mangi solo perché è l’ora o perché c’è la TV accesa. All’inizio è un casino, ti senti quasi in colpa a non toccare cibo per ore, però poi ti accorgi che non stai morendo di fame e che, quando mangi, ti basta meno. Quel chilo che hai perso? Non è poco, fidati, è un segnale che il corpo sta rispondendo. Per me, dopo i primi mesi di 16/8, sono sceso di 8 chili, ma non è stato solo quello: mi sentivo meno appesantito, meno gonfio, proprio come dici tu.

Sull’essere uomini e impazienti hai ragione, anch’io odiavo l’idea di star lì a “meditare” sul cibo. Ma il trucco è non farla troppo complicata: non serve posare la forchetta come in un rituale zen, basta darsi un ritmo. Con il 16/8, per esempio, ti concentri su una finestra di 8 ore per mangiare, e il resto del tempo lasci il corpo in pace. Non devi per forza cambiare tutto, magari inizia con una regola semplice: niente TV o telefono mentre mangi, così ti accorgi di quello che stai facendo. Io facevo l’errore di strafogarmi nella finestra alimentare perché pensavo “devo recuperare”, ma ho capito che era controproducente. Meno fretta, meno quantità, più qualità.

Se ti sembra una fatica, ti capisco. All’inizio lo pensavo anch’io, ma poi è diventato naturale. Non è una moda, è più un modo per non essere schiavo delle abitudini. Funziona a lungo andare? Per me sì, ma solo se trovi il tuo equilibrio e non ti ossessioni. Prova a mixarlo con qualcosa di pratico come l’intervallo, magari ti aiuta a vedere risultati senza sentirti troppo “filosofo del piatto”. Dimmi come va, se ti va!
 
Sai, leggendo quello che scrivi mi sembra di rivedere me stesso qualche anno fa, quando mi chiedevo se tutto questo “mangiare consapevole” fosse solo una perdita di tempo o qualcosa di reale. Non ti nascondo che anch’io, come te, ero uno di quelli che mangiava davanti alla TV, magari con un piatto enorme di pasta, senza nemmeno rendermi conto di quanto stessi mettendo nello stomaco. Però poi ho iniziato a fare un esperimento, un po’ per curiosità, un po’ perché ero stanco di sentirmi sempre pesante.

Non sono mai stato un fanatico delle diete, ma ho provato a cambiare approccio, tipo concentrarmi davvero su quello che mangio. Non parlo di pesare ogni grammo o contare calorie come un matematico, ma di ascoltare il corpo. Hai ragione, rallentare è strano all’inizio, quasi innaturale per noi che vediamo il cibo come una cosa da sbrigare. Eppure, funziona. Quel chilo che hai perso non è un caso: quando dai al cervello il tempo di registrare la sazietà, finisci per mangiare meno senza nemmeno accorgertene. È scienza, non magia. Io, per dire, ho notato che con una porzione più piccola di riso o un pezzo di carne magra mi sento a posto, mentre prima avrei aggiunto altro solo per abitudine.

Essere uomini non c’entra, secondo me. Siamo abituati a correre, sì, ma non è una questione di pazienza, è più un imparare a prendersi cura di sé senza farla sembrare una fatica. Io ho provato a tagliare un po’ di lattosio, non perché sia intollerante, ma per vedere se mi sentivo meno gonfio, e ti giuro che ha fatto la differenza. Non sto dicendo che devi eliminare tutto, ma magari prova a osservare come reagisce il tuo corpo a certi cibi mentre rallenti. Il punto è quello: non è solo rallentare il ritmo, è capire cosa ti serve davvero.

Se ti senti combattuto, è normale. Anch’io pensavo fosse un placebo, o che stessi solo più attento per autosuggestione. Ma dopo un po’ ti accorgi che non è solo la bilancia a cambiare, è proprio la testa. Meno stress, meno sensi di colpa se non ti abbuffi. Funziona a lungo andare? Per me sì, ma non è una regola fissa: devi trovare il tuo modo. Magari non serve meditare su ogni boccone, basta spegnere la TV e goderti il piatto. Prova, vedi come ti senti tra un mese. Se non altro, avrai dato una chance al tuo corpo di dirti qualcosa.
 
Sai, leggendo quello che scrivi mi sembra di rivedere me stesso qualche anno fa, quando mi chiedevo se tutto questo “mangiare consapevole” fosse solo una perdita di tempo o qualcosa di reale. Non ti nascondo che anch’io, come te, ero uno di quelli che mangiava davanti alla TV, magari con un piatto enorme di pasta, senza nemmeno rendermi conto di quanto stessi mettendo nello stomaco. Però poi ho iniziato a fare un esperimento, un po’ per curiosità, un po’ perché ero stanco di sentirmi sempre pesante.

Non sono mai stato un fanatico delle diete, ma ho provato a cambiare approccio, tipo concentrarmi davvero su quello che mangio. Non parlo di pesare ogni grammo o contare calorie come un matematico, ma di ascoltare il corpo. Hai ragione, rallentare è strano all’inizio, quasi innaturale per noi che vediamo il cibo come una cosa da sbrigare. Eppure, funziona. Quel chilo che hai perso non è un caso: quando dai al cervello il tempo di registrare la sazietà, finisci per mangiare meno senza nemmeno accorgertene. È scienza, non magia. Io, per dire, ho notato che con una porzione più piccola di riso o un pezzo di carne magra mi sento a posto, mentre prima avrei aggiunto altro solo per abitudine.

Essere uomini non c’entra, secondo me. Siamo abituati a correre, sì, ma non è una questione di pazienza, è più un imparare a prendersi cura di sé senza farla sembrare una fatica. Io ho provato a tagliare un po’ di lattosio, non perché sia intollerante, ma per vedere se mi sentivo meno gonfio, e ti giuro che ha fatto la differenza. Non sto dicendo che devi eliminare tutto, ma magari prova a osservare come reagisce il tuo corpo a certi cibi mentre rallenti. Il punto è quello: non è solo rallentare il ritmo, è capire cosa ti serve davvero.

Se ti senti combattuto, è normale. Anch’io pensavo fosse un placebo, o che stessi solo più attento per autosuggestione. Ma dopo un po’ ti accorgi che non è solo la bilancia a cambiare, è proprio la testa. Meno stress, meno sensi di colpa se non ti abbuffi. Funziona a lungo andare? Per me sì, ma non è una regola fissa: devi trovare il tuo modo. Magari non serve meditare su ogni boccone, basta spegnere la TV e goderti il piatto. Prova, vedi come ti senti tra un mese. Se non altro, avrai dato una chance al tuo corpo di dirti qualcosa.
 
Ehi Scott, mi hai fatto fare un tuffo nel mio viaggio con il tuo post! Sai, leggendo quello che scrivi, mi sembra di rivivere le prime settimane del mio marafono “100 giorni senza zucchero”. All’inizio pensavo fosse una follia, una di quelle sfide che fai per vantarti con gli amici e poi molli. E invece, eccomi qua, a raccontarti com’è andata.

Quando ho deciso di eliminare lo zucchero aggiunto, non avevo idea di cosa mi aspettasse. Le prime due settimane? Un disastro. Ero irritabile, mi sembrava che tutto sapesse di cartone, e sognavo torte al cioccolato come se fossi in un film di Willy Wonka. La “lomka”, come la chiamo io, era reale: il mio cervello urlava per una dose di dolce, e io mi sentivo come un drogato in astinenza. Ma sai qual è stata la svolta? Rallentare, proprio come dici tu. Non solo nel mangiare, ma nel modo in cui pensavo al cibo. Ho iniziato a chiedermi: “Perché voglio quel biscotto? È fame o solo abitudine?”. E spesso la risposta era: abitudine.

Col tempo, ho notato che il mio palato si è come “ripulito”. È strano da spiegare, ma senza lo zucchero a coprire tutto, ho iniziato a sentire sapori che prima ignoravo. Tipo, un pomodoro maturo? Una bomba di sapore. Una fettina di mela? Dolce come non mai. È come se il cibo avesse alzato il volume, e io fossi lì ad ascoltare per la prima volta. E non parlo solo di gusto: mi sento più leggero, meno appannato. Prima, dopo un pranzo pesante, crollavo sul divano come un sasso. Ora ho energia, e non è solo una questione di chili in meno (anche se, sì, la bilancia ringrazia).

Quello che mi ha colpito del tuo messaggio è il discorso sulla testa. Hai ragione, non è solo il corpo che cambia, è proprio il modo in cui ti relazioni col cibo. Mangiare consapevole per me non è meditare su ogni boccone, ma darmi il tempo di capire cosa mi fa stare bene. Essere uomini, come dici, non c’entra: è più una questione di smettere di correre e ascoltare. Io, per esempio, ho notato che lo zucchero mi dava picchi di energia seguiti da crolli assurdi. Tagliarlo è stato come togliere una nebbia dalla testa. E non sto dicendo che sia la soluzione per tutti, ma provare, come suggerisci, è il primo passo.

Il tuo esperimento col lattosio mi ha fatto sorridere, perché anch’io ho iniziato a fare queste “prove” con il cibo. Tipo, ho notato che il pane bianco mi gonfia, mentre un po’ di farro mi lascia leggero. È come diventare detective del proprio corpo, no? E la cosa bella è che non serve essere perfetti. Non peso il cibo, non conto calorie, ma cerco di capire cosa mi fa sentire vivo e cosa mi appesantisce. E quando sgarro (perché, diciamocelo, una pizza ogni tanto ci sta), non mi fustigo: me la godo e torno in pista.

Insomma, Scott, il tuo post mi ha gasato. Mangiare consapevole non è una moda, è un modo per riprendersi il controllo, non solo del piatto, ma di come ci sentiamo. Non so se tra un mese sarò un guru della mindfulness a tavola, ma di sicuro continuerò a godermi questo viaggio, un sapore alla volta. Tu che dici, ci stai a provare un’altra piccola sfida? Magari un “no TV a cena” per un mese? Fammi sapere come va!
 
Ehi, ciao a tutti, mi sa che è arrivato il momento di tirare fuori lo scheletro dall’armadio, o meglio, i chili dal guardaroba! Leggendo il tuo post mi sono rivisto in pieno, come se fossi davanti a uno specchio che riflette il me di qualche anno fa. La tua storia dello zucchero mi ha fatto ripensare al mio viaggio: anch’io ho avuto il mio momento di gloria, sai? Ero sceso di peso, mi sentivo un leone, pronto a ruggire a ogni specchio. Poi, però, la vita ha deciso di servirmi un bel piatto di pasta al ragù e una fetta di tiramisù, e io, beh, non ho detto di no.

All’inizio era tutto un “dai, solo un boccone non fa niente”. Poi quel boccone è diventato un’abitudine, e l’abitudine si è trasformata in una specie di rimpatriata con tutti i chili che avevo salutato con tanta fatica. È stato come organizzare una reunion di vecchi amici: “Ehi, bentornati, accomodatevi pure sulla mia pancia!”. La verità è che perdere peso è una cosa, ma tenerlo lontano è un altro sport, e io mi sa che ho dimenticato le regole del gioco.

Il tuo discorso sul rallentare mi ha colpito, però. Quando ho perso quei chili, anch’io avevo fatto pace col cibo. Niente zucchero, niente schifezze, solo roba che mi faceva sentire bene. Mi ricordo che una volta ho mangiato un’insalata con così tanta calma che sembrava una scena al rallentatore di un film d’autore. E funzionava! Poi, quando ho mollato, è come se avessi premuto il tasto “avanti veloce”: mangiavo senza pensare, senza chiedermi perché o per cosa. Risultato? Il peso è tornato più veloce di un pacco Amazon con Prime.

Ora sto cercando di rimettermi in carreggiata, ma non è facile. La testa dice “riparti”, ma lo stomaco risponde “facciamo domani, che oggi c’è la lasagna della mamma”. Mi sa che il tuo approccio da detective del corpo potrebbe essere la chiave: capire cosa mi fa stare bene e cosa mi manda in tilt. Tipo, lo zucchero per me è un disastro, mi dà una botta di energia e poi mi lascia steso come dopo una maratona di Netflix. Magari potrei provare a tagliare quello per iniziare, che dici?

La tua idea di una sfida mi piace, però. Il “no TV a cena” potrebbe essere un colpaccio: di solito mangio davanti alla tele e finisco per scolarmi un piatto di pasta senza nemmeno accorgermene. Senza distrazioni magari riesco a godermi il cibo e a non esagerare. Però ti avverto, se ci provo e poi cedo alla tentazione di un episodio di serie TV con un gelato in mano, la colpa è tua che mi hai messo in testa queste idee pericolose!

Insomma, grazie per il tuo racconto, mi hai fatto ridere e riflettere. Mangiare consapevole sembra una figata, ma per uno come me, che è caduto dal carro e ci è pure finito sotto, è una salita bella ripida. Però ci sto, voglio riprovarci. Magari non diventerò un monaco del mindful eating, ma almeno posso evitare di trasformarmi di nuovo nel testimonial vivente della carbonara. Tu che ne pensi, ce la faccio a risalire sul carro o mi ritroverò a salutare i miei jeans attillati per sempre? Fammi sapere come va la tua sfida, che magari mi dai lo sprint giusto!
 
Ehi, che piacere leggerti! La tua storia è un viaggio che sembra uscito da un film, con tanto di colpi di scena e ritorni inaspettati. Quel “bentornati chili” mi ha fatto proprio sorridere, perché, diciamocelo, chi non ha avuto una reunion del genere col proprio guardaroba? La tua sincerità è contagiosa, e il modo in cui racconti quel passaggio da leone ruggente a vittima del tiramisù… beh, mi ci rivedo un sacco.

Il tuo discorso sul rallentare e sul mangiare con calma mi ha fatto pensare a quanto sia potente prendersi quel momento per ascoltare il corpo. Quella tua insalata in slow motion? Una scena epica! Hai ragione, quando premi “avanti veloce” col cibo, è come se perdessi il controllo del telecomando. La sfida del “no TV a cena” che hai tirato fuori è una bomba, e sai che ti dico? La facciamo insieme! Io sono il tipo che divora un piatto di spaghetti davanti a una serie senza nemmeno accorgersi di quante forchettate ho dato. Spegnere la tele potrebbe essere il nostro piccolo patto per tornare a goderci ogni boccone e magari non svuotare il frigo senza rendercene conto.

Sul discorso zucchero, ti capisco alla grande. È come un amico traditore: ti dà una spinta e poi ti molla sul divano a fare i conti col rimorso. Tagliarlo potrebbe essere un bel primo passo, magari sostituendolo con qualcosa che ti dà energia senza il crollo, tipo un po’ di frutta o una manciata di mandorle. Io sto provando a fare così, e ti dirò, non è male. Certo, la lasagna della mamma è un altro livello di tentazione, ma possiamo farcela, no? Un passo alla volta, come detective del nostro corpo, proprio come dicevi tu.

Per la sfida, che ne pensi di partire con qualcosa di semplice? Tipo, oltre al “no TV”, potremmo provare a scrivere ogni giorno una cosa che ci ha fatto sentire bene mangiando con consapevolezza. Magari un sapore che ci ha sorpreso o un momento in cui ci siamo fermati prima di strafogarci. Io sono pronto a fare il tifo per te, e se cadi dal carro, tranquillo, ti tendo una mano per risalire. I jeans attillati ti aspettano, e sono sicuro che ce la farai a riconquistarli. Facci sapere come va, che il tuo sprint dà carica anche a noi!