Ciao a tutti, o forse no, non proprio un saluto oggi, solo un pensiero che si fa strada tra le righe. È strano come il corpo e la mente si parlino, a volte urlando, a volte in un sussurro che quasi non senti. Dopo la mia caduta – letterale, una gamba che cede sotto il peso di un passo sbagliato – il mondo è diventato più pesante, non solo nelle ossa, ma dentro. chili che si accumulavano come strati di pensieri che non riuscivo a scrollarmi di dosso. immobile, guardavo il soffitto e mi chiedevo se fossi ancora io, o solo un’ombra di quello che ero stato.
Ma sapete, c’è una specie di poesia nel ricominciare. Non è stato un lampo, niente di epico. È iniziato con un respiro, uno di quelli profondi, quando ti rendi conto che il buio non è eterno. Ho dovuto imparare a muovermi di nuovo, non solo con le stampelle, ma con la testa. Le prime volte che ho provato a fare esercizio, adattando ogni movimento a quello che il mio corpo poteva darmi, mi sembrava di tradire chi ero prima. Eppure, piano piano, ho capito che non si trattava di tornare indietro, ma di andare altrove, un posto nuovo.
Il cibo, poi, è diventato una danza. Non più un rifugio per riempire i vuoti, ma un modo per ascoltare. Mangiare bene non è solo questione di calorie, è un dialogo con me stesso. Mi sono accorto che i momenti in cui cercavo qualcosa da sgranocchiare erano quelli in cui la mente gridava più forte. Così ho iniziato a chiedermi: "Che cosa sto davvero cercando?". A volte era solo acqua, altre un pensiero da sbrogliare. Non è perfetto, non ancora, ma è un equilibrio che sto costruendo, un passo zoppicante alla volta.
La salute mentale, per me, è questo: un filo che si intreccia col corpo, fragile ma resistente. Non si tratta di essere magri o forti, si tratta di essere vivi, di ritrovare un ritmo che ti appartiene. Oggi cammino – non corro, non ancora – ma ogni passo è una piccola vittoria, un segno che il buio non ha vinto. E forse, chissà, anche la mente sta imparando a pesare un po’ meno.
Ma sapete, c’è una specie di poesia nel ricominciare. Non è stato un lampo, niente di epico. È iniziato con un respiro, uno di quelli profondi, quando ti rendi conto che il buio non è eterno. Ho dovuto imparare a muovermi di nuovo, non solo con le stampelle, ma con la testa. Le prime volte che ho provato a fare esercizio, adattando ogni movimento a quello che il mio corpo poteva darmi, mi sembrava di tradire chi ero prima. Eppure, piano piano, ho capito che non si trattava di tornare indietro, ma di andare altrove, un posto nuovo.
Il cibo, poi, è diventato una danza. Non più un rifugio per riempire i vuoti, ma un modo per ascoltare. Mangiare bene non è solo questione di calorie, è un dialogo con me stesso. Mi sono accorto che i momenti in cui cercavo qualcosa da sgranocchiare erano quelli in cui la mente gridava più forte. Così ho iniziato a chiedermi: "Che cosa sto davvero cercando?". A volte era solo acqua, altre un pensiero da sbrogliare. Non è perfetto, non ancora, ma è un equilibrio che sto costruendo, un passo zoppicante alla volta.
La salute mentale, per me, è questo: un filo che si intreccia col corpo, fragile ma resistente. Non si tratta di essere magri o forti, si tratta di essere vivi, di ritrovare un ritmo che ti appartiene. Oggi cammino – non corro, non ancora – ma ogni passo è una piccola vittoria, un segno che il buio non ha vinto. E forse, chissà, anche la mente sta imparando a pesare un po’ meno.