Un piatto che racconta le mie giornate: verdure, proteine e un po' di malinconia

Varzik

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non lo so. Oggi è stata una di quelle giornate grigie, sapete, quando ti svegli e il cielo sembra riflettere quello che hai dentro. Mi sono messa in cucina comunque, quasi per abitudine, con il mio piatto vuoto davanti. È strano come un oggetto così semplice possa diventare una specie di guida, un promemoria di quello che sto cercando di fare per me stessa.
Ho iniziato con le verdure, come sempre. Metà piatto pieno di zucchine grigliate e un po’ di cavolo nero saltato in padella. Niente di speciale, solo colori spenti che si mescolano al mio umore. Le guardo e penso a quanto siano diventate una costante, quasi un conforto, anche se all’inizio le trovavo insipide, un sacrificio. Ora invece le taglio, le cuocio, le dispongo con una cura che non so nemmeno spiegarmi. Forse è il tempo che passa, forse è il corpo che si abitua.
Poi c’è il quarto di proteine. Oggi ho scelto del pollo, cotto semplicemente con un filo d’olio e un po’ di pepe. Lo metto lì, in quel piccolo spazio, e mi sembra quasi troppo poco. All’inizio mi mancava quel senso di pienezza che dà un piatto abbondante, sapete? Ma ora capisco che non è poco, è giusto. È strano dover imparare a non strafare, a non riempirsi per forza.
E infine i carboidrati, l’altra quarta parte. Un po’ di riso integrale, cotto stamattina presto quando ancora non sapevo che giornata sarebbe stata. Lo guardo e mi ricordo di quando pensavo che i carboidrati fossero il nemico, qualcosa da evitare. Ora invece li misuro, li peso, li accetto. Sono lì, una parte piccola ma necessaria, come un compromesso con me stessa.
Il piatto finito è davanti a me, e sì, è bilanciato, è sano, è quello che il “metodo della taрелка” promette. Ma oggi, mentre lo mangio, non riesco a non pensare a quanto sia meccanico tutto questo. Tagliare, dividere, porzionare. È diventato parte della mia giornata, un ritmo che mi tiene in piedi anche quando vorrei solo sdraiarmi e lasciar passare il tempo. Non è sempre facile, sapete? C’è una malinconia che si attacca a queste abitudini, come se ogni morso mi ricordasse che sto cercando di cambiare qualcosa che forse non capisco del tutto.
Comunque, eccolo qui, il mio piatto di oggi. Verdure che occupano il loro spazio, proteine che tengono il passo, carboidrati che non fanno più paura. È un equilibrio fragile, come me in questo momento. Ma forse è proprio questo il punto: andare avanti, un pasto alla volta, anche quando il cielo è grigio e la testa pure.
 
Ciao a tutti, o forse no, non lo so. Oggi è stata una di quelle giornate grigie, sapete, quando ti svegli e il cielo sembra riflettere quello che hai dentro. Mi sono messa in cucina comunque, quasi per abitudine, con il mio piatto vuoto davanti. È strano come un oggetto così semplice possa diventare una specie di guida, un promemoria di quello che sto cercando di fare per me stessa.
Ho iniziato con le verdure, come sempre. Metà piatto pieno di zucchine grigliate e un po’ di cavolo nero saltato in padella. Niente di speciale, solo colori spenti che si mescolano al mio umore. Le guardo e penso a quanto siano diventate una costante, quasi un conforto, anche se all’inizio le trovavo insipide, un sacrificio. Ora invece le taglio, le cuocio, le dispongo con una cura che non so nemmeno spiegarmi. Forse è il tempo che passa, forse è il corpo che si abitua.
Poi c’è il quarto di proteine. Oggi ho scelto del pollo, cotto semplicemente con un filo d’olio e un po’ di pepe. Lo metto lì, in quel piccolo spazio, e mi sembra quasi troppo poco. All’inizio mi mancava quel senso di pienezza che dà un piatto abbondante, sapete? Ma ora capisco che non è poco, è giusto. È strano dover imparare a non strafare, a non riempirsi per forza.
E infine i carboidrati, l’altra quarta parte. Un po’ di riso integrale, cotto stamattina presto quando ancora non sapevo che giornata sarebbe stata. Lo guardo e mi ricordo di quando pensavo che i carboidrati fossero il nemico, qualcosa da evitare. Ora invece li misuro, li peso, li accetto. Sono lì, una parte piccola ma necessaria, come un compromesso con me stessa.
Il piatto finito è davanti a me, e sì, è bilanciato, è sano, è quello che il “metodo della taрелка” promette. Ma oggi, mentre lo mangio, non riesco a non pensare a quanto sia meccanico tutto questo. Tagliare, dividere, porzionare. È diventato parte della mia giornata, un ritmo che mi tiene in piedi anche quando vorrei solo sdraiarmi e lasciar passare il tempo. Non è sempre facile, sapete? C’è una malinconia che si attacca a queste abitudini, come se ogni morso mi ricordasse che sto cercando di cambiare qualcosa che forse non capisco del tutto.
Comunque, eccolo qui, il mio piatto di oggi. Verdure che occupano il loro spazio, proteine che tengono il passo, carboidrati che non fanno più paura. È un equilibrio fragile, come me in questo momento. Ma forse è proprio questo il punto: andare avanti, un pasto alla volta, anche quando il cielo è grigio e la testa pure.
Ehi, capisco benissimo quelle giornate in cui il grigio fuori sembra infilarsi anche dentro di te. Sai, leggendo il tuo post mi sono rivista in tanti momenti del mio percorso. Quel piatto che descrivi, con le zucchine, il cavolo nero, il pollo e il riso, è praticamente un quadro della vita sana che ho imparato a costruire un passo alla volta. Ma hai ragione, a volte diventa tutto così... automatico, quasi pesante, no? Come se stessi seguendo una ricetta non per voglia, ma per dovere.

Io sono una di quelle che ormai vive per il "metodo della taрелка" – verdure a volontà, proteine misurate, carboidrati che non demonizzo più. All’inizio pesavo tutto con una precisione maniacale, quasi fossi un chimico in laboratorio. Mi ricordo ancora la bilancia che fissavo mentre dividevo i miei 100 grammi di patate dolci o i 150 di petto di pollo. Era snervante, ma col tempo è diventato un gesto naturale, come lavarmi i denti. E sai una cosa? Quei numeri, quel controllo, mi hanno aiutato a vedere il progresso. Non parlo solo di chili persi, ma di come il corpo risponde, di come mi sento più leggera, più energica, anche nelle giornate no.

Però ti capisco quando dici che c’è malinconia. È vero, non è sempre una festa. Ci sono giorni in cui guardo il mio piatto colorato e penso: “Tutto qui? È questa la ricompensa?”. Ma poi mi fermo e mi dico che non è solo cibo, è un pezzo di me che sto ricostruendo. Le verdure, che una volta snobbavo, ora le amo – le griglio, le salto, le condisco con un filo d’olio e spezie, e mi danno quella soddisfazione che non credevo possibile. Il pollo, beh, lo rendo interessante con un po’ di limone o paprika, così non mi annoio. E i carboidrati? Io ormai sono team riso integrale o quinoa, li preparo in anticipo e li tengo pronti per non cedere alla tentazione di lasciar perdere tutto.

Quello che voglio dirti è che questo equilibrio fragile di cui parli non è una debolezza, è una forza. Misurare, porzionare, andare avanti anche quando non hai voglia è un segno che stai tenendo duro. Il progresso non è solo nella bilancia o nello specchio, ma in quella costanza che ti stai costruendo, pure con il cielo grigio sopra la testa. Magari prova a cambiare qualcosa, tipo aggiungere una spezia nuova o una verdura che non hai mai provato, giusto per spezzare quel senso di routine. Per me ha funzionato, mi ha fatto sentire meno “meccanica” e più viva.

Tieni duro, un piatto alla volta. Anche se oggi ti sembra poco, è tanto.