Mangiare con il cuore: il mio viaggio bizzarro verso un rapporto sano col cibo

Charlie_

Membro
6 Marzo 2025
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Ehi, anime affamate di vita,
mi sono intrufolata in questo angolo di forum con un piatto di pensieri un po’ strambi e un cucchiaio di coraggio. Il mio viaggio col cibo è stato un po’ come una danza scoordinata: un passo avanti, tre indietro, e un sacco di inciampi. Mangiare, per me, non è mai stato solo mettere del cibo in bocca. È stato un campo di battaglia, un labirinto, a volte un mostro che mi sussurrava cose cattive all’orecchio.
C’è stato un tempo in cui contavo ogni briciola come se fosse una moneta d’oro. Poi, in altri momenti, mi tuffavo in montagne di cibo come se stessi cercando di riempire un buco che non aveva fondo. Anoressia, bulimia, abbuffate compulsive… non so nemmeno come etichettare tutto questo caos, ma so che mi ha fatto sentire come un burattino con i fili tutti aggrovigliati.
Ma sapete una cosa buffa? Un giorno, mentre fissavo una carota come se fosse un alieno, ho deciso che volevo smettere di combattere il cibo. Non so perché proprio una carota, forse aveva un’aria particolarmente saggia. Ho iniziato a immaginare il mangiare come un dialogo, non una guerra. Tipo, “Ehi, pomodoro, raccontami la tua storia. Da dove vieni? Sei succoso oggi?” Sembra assurdo, lo so, ma parlare con il cibo mi ha aiutato a smettere di vederlo come un nemico.
Sto ancora imparando. Ci sono giorni in cui il mio cervello cerca di trascinarmi di nuovo nel vecchio copione: contare, controllare, punirmi. Ma sto cercando di ascoltare il mio corpo invece di zittirlo. Tipo, se ho voglia di un biscotto, lo mangio. Non dieci, non zero, solo uno, con calma, assaporandolo come se fosse una poesia. E se voglio una ciotola di broccoli, non è perché “devo” essere sana, ma perché mi piace il loro sapore croccante e un po’ amaro.
Una cosa che mi sta aiutando è preparare il cibo con le mie mani. Non parlo di ricette da chef stellato, ma di robe semplici: affettare una mela, mescolare un’insalata, tostare del pane. È come un rituale che mi ricorda che il cibo non è solo calorie, è vita, colori, profumi. E poi, ho iniziato a mangiare con altre persone. Non sempre, perché a volte mi sento ancora a disagio, ma condividere un piatto di pasta con un amico mi fa sentire… normale. Come se fossi parte di qualcosa di più grande di me stessa.
Non fraintendetemi, non sono arrivata al traguardo. Non so nemmeno se esiste un traguardo. Ma sto imparando a muovermi in questo strano ballo col cibo con un po’ più di grazia. Se anche voi state inciampando nel vostro percorso, vi dico solo: provate a parlare con una carota. O con un pomodoro. Non risponderanno, ma magari vi faranno sorridere. E, credetemi, un sorriso è già un passo gigante.
Voi che trucchi strambi avete per fare pace col cibo? Raccontatemi, che sono curiosa!
 
Ehi, anime affamate di vita,
mi sono intrufolata in questo angolo di forum con un piatto di pensieri un po’ strambi e un cucchiaio di coraggio. Il mio viaggio col cibo è stato un po’ come una danza scoordinata: un passo avanti, tre indietro, e un sacco di inciampi. Mangiare, per me, non è mai stato solo mettere del cibo in bocca. È stato un campo di battaglia, un labirinto, a volte un mostro che mi sussurrava cose cattive all’orecchio.
C’è stato un tempo in cui contavo ogni briciola come se fosse una moneta d’oro. Poi, in altri momenti, mi tuffavo in montagne di cibo come se stessi cercando di riempire un buco che non aveva fondo. Anoressia, bulimia, abbuffate compulsive… non so nemmeno come etichettare tutto questo caos, ma so che mi ha fatto sentire come un burattino con i fili tutti aggrovigliati.
Ma sapete una cosa buffa? Un giorno, mentre fissavo una carota come se fosse un alieno, ho deciso che volevo smettere di combattere il cibo. Non so perché proprio una carota, forse aveva un’aria particolarmente saggia. Ho iniziato a immaginare il mangiare come un dialogo, non una guerra. Tipo, “Ehi, pomodoro, raccontami la tua storia. Da dove vieni? Sei succoso oggi?” Sembra assurdo, lo so, ma parlare con il cibo mi ha aiutato a smettere di vederlo come un nemico.
Sto ancora imparando. Ci sono giorni in cui il mio cervello cerca di trascinarmi di nuovo nel vecchio copione: contare, controllare, punirmi. Ma sto cercando di ascoltare il mio corpo invece di zittirlo. Tipo, se ho voglia di un biscotto, lo mangio. Non dieci, non zero, solo uno, con calma, assaporandolo come se fosse una poesia. E se voglio una ciotola di broccoli, non è perché “devo” essere sana, ma perché mi piace il loro sapore croccante e un po’ amaro.
Una cosa che mi sta aiutando è preparare il cibo con le mie mani. Non parlo di ricette da chef stellato, ma di robe semplici: affettare una mela, mescolare un’insalata, tostare del pane. È come un rituale che mi ricorda che il cibo non è solo calorie, è vita, colori, profumi. E poi, ho iniziato a mangiare con altre persone. Non sempre, perché a volte mi sento ancora a disagio, ma condividere un piatto di pasta con un amico mi fa sentire… normale. Come se fossi parte di qualcosa di più grande di me stessa.
Non fraintendetemi, non sono arrivata al traguardo. Non so nemmeno se esiste un traguardo. Ma sto imparando a muovermi in questo strano ballo col cibo con un po’ più di grazia. Se anche voi state inciampando nel vostro percorso, vi dico solo: provate a parlare con una carota. O con un pomodoro. Non risponderanno, ma magari vi faranno sorridere. E, credetemi, un sorriso è già un passo gigante.
Voi che trucchi strambi avete per fare pace col cibo? Raccontatemi, che sono curiosa!