Un morso alla volta, tra stress e sogni di leggerezza

aqeembayor

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
 
Ehi, un sospiro lo capisco fin troppo bene, sai? Leggerti mi ha fatto venire in mente quei momenti in cui anch’io mi sentivo persa, con la bilancia che sembrava quasi giudicarmi. Ti scrivo dal bordo della piscina, con ancora qualche goccia d’acqua addosso, perché per me è lì che è cambiato tutto. Non so se hai mai provato l’acqua come alleata, ma ti racconto com’è andata con me.

Anch’io ero su quell’altalena che descrivi, un giorno su di morale e quello dopo a chiedermi perché avessi ceduto a un piatto di troppo. Poi ho scoperto l’aquafitness, un po’ per caso, un po’ per disperazione. All’inizio pensavo: “Ma davvero, io che mi muovo in acqua come un pesce fuor d’acqua?” Eppure, è stato un salvagente. Non parlo solo di chili – ne ho persi 8 in un anno, un passo alla volta – ma di come mi sento. Leggera, non solo nel corpo, ma anche dentro.

Quando sei lì, immersa, il mondo fuori si spegne. Lo stress, quel nodo in gola che dici tu, si scioglie un po’ con ogni bracciata, ogni esercizio. Non è come in palestra, dove senti il peso di tutto; in acqua è diverso, ti sostiene, ti culla quasi. Io facevo aquagym due volte a settimana, poi ho provato anche qualche circuito tipo Tabata, ma in versione acquatica: movimenti veloci, pause brevi, e alla fine sei stanca ma soddisfatta. E sai una cosa buffa? Dopo, la voglia di buttarmi su una pizza intera spariva. Non perché mi imponessi di dire “no”, ma perché mi sentivo già piena di qualcosa di meglio.

Capisco quel bisogno di conforto nel cibo, credimi. Per me era il tiramisù, una cucchiaiata dietro l’altra senza quasi accorgermene. Ora, quando esco a mangiare, mi porto dietro quel senso di calma che l’acqua mi ha insegnato. Non sempre scelgo l’insalata, eh, qualche volta un piatto di pasta me lo godo, ma senza quel senso di colpa che ti schiaccia. È come se avessi trovato un ritmo: un morso consapevole, un respiro, e via così.

Il mio trucco, se vuoi chiamarlo così, è stato trasformare quelle giornate “no” in un’occasione per buttarmi in piscina. Non serve essere perfetti, basta iniziare. Magari provarci una volta, sentire com’è. E se ti va, scrivimi come va, mi farebbe piacere sapere se l’acqua riesce a portare un po’ di leggerezza anche a te. Un passo – o una nuotata – alla volta, ce la facciamo, no?
 
Ciao! Leggerti mi ha fatto proprio pensare a quanto anche io, all’inizio, cercassi qualcosa che mi tenesse a galla tra fame e sensi di colpa. La tua storia con l’acqua mi ha colpita, sai? Io invece ho trovato il mio “salvagente” nei piatti fumanti di minestrone e zuppe leggere. Non è una piscina, ma una pentola che bolle piano, con verdure di ogni colore che mi fanno compagnia.

Capisco quel nodo in gola, quel bisogno di conforto che a volte ti spinge verso un piatto di troppo. Anche per me c’era quel momento in cui una fetta di torta sembrava l’unica risposta. Poi ho iniziato a giocare con le verdure: zucchine, carote, un po’ di sedano, magari una manciata di spinaci. Le trasformo in creme o le lascio a pezzettoni, dipende da come mi sento. Non è solo per le calorie – che comunque tengo d’occhio – ma per quel senso di calore che mi riempie senza appesantirmi.

L’aquafitness sembra una figata, davvero! Io invece, quando ho una giornata storta, mi metto a tagliare cipolle e pomodori. È il mio modo di spegnere il mondo fuori. Non sono una chef, eh, ma mescolare, assaggiare, sentire quel profumo che si spande in cucina mi dà una calma che non mi aspettavo. E poi, dopo una ciotola di zuppa, non ho quella voglia matta di strafare con altro. Mi sazia, ma in modo gentile.

Il tuo ritmo tra un morso e un respiro mi piace un sacco, lo provo anch’io a modo mio: un cucchiaio di brodo, una pausa, e avanti così. Non è perfetto, a volte sgarro con un pezzo di pane in più, ma senza sentirmi in colpa. Magari un giorno provo l’acqua come te, chi lo sa? Intanto, continuo con le mie pentole. Se ti va, fammi sapere se la leggerezza arriva ancora, io ti scrivo se scopro una ricetta che mi salva la giornata. Un sorso – o una bracciata – alla volta, no?
 
Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
Ehi, ti capisco, quel sospiro lo conosco bene. Quando il cibo diventa un rifugio, è dura uscirne, ma non sei sola. Io sto provando a partire dalla colazione: niente soldi per shake costosi, solo un po’ di yogurt bianco con frutta che trovo al mercato, magari una mela o quello che costa meno. Non è perfetto, ma mi tiene a bada la fame senza pesare sul portafoglio. E poi cammino, ovunque, è gratis e mi schiarisce la testa. Piccoli trucchi, sai, per non crollare. Tu cosa provi a fare nei giorni no?
 
Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
Ehi, sai che ti capisco fin troppo bene? Quel sospiro che descrivi, perso tra il rumore delle posate e il peso delle emozioni, l’ho sentito anch’io, tante volte. Non sei sola in questa danza, credimi. La pasta al ragù che ti chiama non per fame ma per quel nodo in gola… è come se il cibo diventasse un amico che ti ascolta quando tutto il resto tace. Ma forse, e dico forse, non è il cibo il problema, né la bilancia che ti guarda storto. È quello che ci gira intorno, dentro.

Io sono una di quelle che ha lasciato perdere le regole ferree, i “devi” e i “non devi”. Non funziona, almeno non per me. Mi sono chiesta: e se invece di combattere il piatto di pasta provassi ad ascoltarmi davvero? Non parlo di lasciarsi andare senza freni, ma di capire perché quel boccone diventa una coperta quando il giorno si fa pesante. Per me è stato un cammino lento, fatto di momenti in cui mi fermo e mi dico: “Ok, ora ho voglia di questo, ma cosa sto cercando davvero?”. A volte è conforto, a volte è solo noia. E non sempre ho la risposta, ma già farmi la domanda mi aiuta a non cadere nello stesso vortice.

Non ho trucchi magici, te lo dico subito. Però ho notato che quando smetto di giudicarmi per ogni scelta, qualcosa cambia. Tipo, ieri ho mangiato una fetta di torta con un’amica, e invece di sentirmi in colpa ho pensato: “È stato bello condividere questo momento”. Non è la leggerezza dei numeri sulla bilancia, ma una specie di pace con me stessa. Forse è da lì che si parte: non dal menu perfetto, ma da come ti parli quando ti siedi a tavola. Tu che dici, hai mai provato a scriverti qualcosa di gentile su quel tovagliolo, invece di accartocciarlo? Magari un “ci sto provando, e va bene così”. Un morso alla volta, no?
 
Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
Ehi, un saluto veloce, o forse solo un cenno, come quando incroci qualcuno per strada e non sai se fermarti. Ti leggo e mi ci ritrovo, sai? Quel nodo in gola che descrivi, per me è più un groviglio nello stomaco, di quelli che ti fanno aprire il frigo anche se hai appena mangiato. Sono uno studente, vivo in dormitorio, e tra lezioni, scadenze e un budget che sembra sempre un euro in meno di quello che mi serve, il cibo diventa una specie di rifugio. Ma poi mi guardo allo specchio e penso: "Ok, basta, devo cambiare qualcosa".

Io non ho trucchi magici, te lo dico subito. Però sto provando a fare pace con quello che ho a disposizione. Mangiare fuori per me è raro, ma quando capita cerco di scegliere roba semplice: un’insalata con un po’ di pollo, o una zuppa se il posto la offre. Non è da ristorante stellato, ma almeno non mi sento in colpa dopo. A casa invece mi arrangio con quello che trovo al discount: fiocchi d’avena che costano niente e li mescolo con un po’ di yogurt scadente, oppure riso integrale con verdure surgelate. Non è gourmet, ma riempie e non mi svuota il portafoglio.

Per lo stress, che dire, è un compagno di stanza che non paga l’affitto. Io provo a sfogarlo muovendomi. Non ho tempo per palestre o roba seria, ma nel campus faccio le scale invece dell’ascensore, oppure corro intorno al cortile quando nessuno guarda. A volte mi chiudo in camera e faccio qualche push-up o squat, tanto per ricordarmi che il mio corpo può fare altro oltre che stare seduto a studiare o mangiare. Non è un allenamento da atleta, ma mi tiene la testa occupata e il groviglio nello stomaco si allenta un po’.

Il tuo "un morso alla volta" mi piace, lo capisco. Anche io vado avanti così, tra alti e bassi. Tipo, ieri ho resistito a un pacco di biscotti che mi chiamava dal tavolo comune in cucina, e mi sono sentito un eroe. Poi però oggi ho ceduto a una porzione doppia di pasta al sugo, perché la giornata era un disastro e non avevo la forza di dire no. Ma sai che c’è? Non mollo. Ogni "no" che riesco a dire è un passo, e anche se cado, mi rialzo. La bilancia può guardarmi storto quanto vuole, ma io continuo a provarci.

Tu come fai con le giornate no? Io sto pensando di scrivermi due righe sul telefono, tipo un promemoria: "Non sei il tuo stress, non devi mangiartelo". Magari funziona, magari no, ma almeno ci provo. E tu, che sogni quella leggerezza, hai mai provato a fare qualcosa di diverso quando senti quel peso dentro? Tipo camminare invece di sederti a tavola, o bere un bicchiere d’acqua lentissimo, giusto per prendere tempo? Non so, butto lì idee, perché anch’io sto ancora cercando la mia strada. Però ti capisco, e pure se siamo su questa altalena, l’importante è non smettere di spingere. Un morso alla volta, no?
 
Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
Ehi, capisco quel sospiro, sai? Anch’io mi perdo spesso tra il profumo di un piatto e il rimorso dopo. Ieri ho ceduto a una carbonara, ma oggi mi sono ripresa con un’idea: ho fatto una pasta integrale con zucchine grigliate e un filo d’olio. Sazia, ma non mi fa sentire in colpa. Quando lo stress urla, provo a cucinare qualcosa di leggero che mi tenga le mani occupate e la testa lontana dal frigo. Non è facile, però. Tu come resisti a quelle giornate no? Io sogno di mangiare fuori con serenità, magari un’insalata saporita che non sembri una punizione. Un passo alla volta, no?
 
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Ciao a tutti, o forse no, non proprio un "ciao" oggi, ma un sospiro che si perde tra i tavoli di un ristorante e il rumore delle posate. Mi ritrovo qui, ancora una volta, a scrivere con il cuore in mano e la bilancia che mi guarda storto. Mangiare fuori è come una danza per me: un passo verso il sogno di sentirmi leggera, e due passi indietro quando lo stress mi sussurra all’orecchio. Ieri sera, un piatto di pasta al ragù mi ha chiamato, non per fame, ma per quel nodo in gola che non so sciogliere. L’ho mangiato tutto, e poi mi sono chiesta: "Perché lo faccio ancora?"
Voglio cambiare, lo giuro. Sogno di entrare in un locale e scegliere senza paura, senza che le emozioni decidano al posto mio. Ma come si fa? Come si placa questa tempesta dentro che mi spinge a cercare conforto nel cibo? Qualcuno di voi ha trovato un trucco, una piccola luce per non cadere sempre nella stessa trappola? Io ci provo, sapete. A volte scrivo quello che sento su un tovagliolo, lo accartoccio e lo lascio lì, come se potessi abbandonare anche il peso che mi porto dentro. Altre volte mi fermo a guardare il menu e mi dico: "Oggi solo un’insalata, dai, ce la puoi fare". E qualche volta ci riesco, davvero.
Il mio progresso è un’altalena. La settimana scorsa ho perso mezzo chilo, e mi sono sentita come se avessi scalato una montagna. Poi però è arrivata una giornata no, di quelle in cui il mondo sembra troppo grande e io troppo piccola, e una pizza intera è sparita senza che me ne accorgessi. Eppure, non voglio arrendermi. Misuro i miei passi, non solo con i numeri, ma con le volte in cui riesco a dire "no" a quel boccone di troppo, o quando scelgo di alzarmi da tavola e respirare invece di riempire il vuoto.
Ditemi, amici di questo angolo di confessioni, come fate voi? Cosa vi tiene in piedi quando il cuore pesa più del corpo? Io continuo a sognare una versione di me che mangia fuori casa con gioia, senza sensi di colpa, un morso alla volta, verso quella leggerezza che ancora mi sfugge.
Ehi, non proprio un saluto oggi, ma più un respiro profondo, di quelli che fai quando ti siedi e ti guardi intorno, con la bilancia che sembra giudicarti da lontano. Ti leggo e mi ci ritrovo, sai? Quel tuo piatto di pasta al ragù potrebbe essere il mio caffè nero bollente, che mi scalda le mani ma non scioglie quel groviglio che sento dentro. Anche io sono ferma, incastrata su un numero che non si muove, e pure io mi chiedo perché continuo a cedere, anche quando so che non è fame vera.

Il tuo racconto della cena fuori, quel nodo in gola, mi ha colpita. È come se lo stress avesse una voce tutta sua, no? Ti sussurra, ti convince che un boccone in più non farà male, e poi ti lascia lì, a fissare il piatto vuoto con mille pensieri. Io faccio lo stesso con le mie giornate storte: magari non è una pizza intera, ma un biscotto dietro l’altro, presi quasi senza accorgermene mentre cerco di calmare la testa. Eppure, come te, voglio cambiare. Sogno di sedermi a un tavolo e ordinare qualcosa che mi faccia stare bene, non solo per un momento, ma davvero.

Il tuo mezzo chilo perso la settimana scorsa? È una vittoria, altroché. Lo so che poi è arrivata quella giornata no a rovinare tutto, ma non cancellare quel passo avanti. Io, per esempio, tengo un quadernino dove segno le volte in cui riesco a dire “basta” prima di esagerare. Non è perfetto, ma mi aiuta a vedere che qualcosa si muove, anche se la bilancia non è d’accordo. Ultimamente sto provando a fare pace col caffè nero: lo bevo piano, lo assaporo, e mi dico che può bastare, che non ho bisogno di riempirmi di altro per sentirmi a posto. A volte funziona, a volte no, ma almeno ci sto provando.

La tua idea del tovagliolo accartocciato mi piace da morire. È come lasciare lì un pezzo di peso, no? Io invece cammino. Quando sento che sto per cedere, esco, faccio due passi, respiro forte. Non risolve tutto, ma mi dà un attimo per pensare, per non buttarmi subito su qualcosa da mangiare. Forse potresti provarci anche tu, o magari trovare un tuo rituale, qualcosa che ti tenga la mano quando lo stress bussa.

Non ho la formula magica, te lo giuro. Anche io sono su quest’altalena, tra giorni in cui mi sento forte e altri in cui mi sembra di non andare da nessuna parte. Ma leggerti mi fa sentire meno sola, e spero che anche tu ti senta così. Continuiamo a provarci, un respiro alla volta, un “no” alla volta. La leggerezza che sogniamo non è così lontana, forse è nascosta dietro un sorso di caffè nero o un passo in più verso noi stesse. Tu che dici, ce la facciamo?
 
Ehi, non proprio un saluto oggi, ma più un respiro profondo, di quelli che fai quando ti siedi e ti guardi intorno, con la bilancia che sembra giudicarti da lontano. Ti leggo e mi ci ritrovo, sai? Quel tuo piatto di pasta al ragù potrebbe essere il mio caffè nero bollente, che mi scalda le mani ma non scioglie quel groviglio che sento dentro. Anche io sono ferma, incastrata su un numero che non si muove, e pure io mi chiedo perché continuo a cedere, anche quando so che non è fame vera.

Il tuo racconto della cena fuori, quel nodo in gola, mi ha colpita. È come se lo stress avesse una voce tutta sua, no? Ti sussurra, ti convince che un boccone in più non farà male, e poi ti lascia lì, a fissare il piatto vuoto con mille pensieri. Io faccio lo stesso con le mie giornate storte: magari non è una pizza intera, ma un biscotto dietro l’altro, presi quasi senza accorgermene mentre cerco di calmare la testa. Eppure, come te, voglio cambiare. Sogno di sedermi a un tavolo e ordinare qualcosa che mi faccia stare bene, non solo per un momento, ma davvero.

Il tuo mezzo chilo perso la settimana scorsa? È una vittoria, altroché. Lo so che poi è arrivata quella giornata no a rovinare tutto, ma non cancellare quel passo avanti. Io, per esempio, tengo un quadernino dove segno le volte in cui riesco a dire “basta” prima di esagerare. Non è perfetto, ma mi aiuta a vedere che qualcosa si muove, anche se la bilancia non è d’accordo. Ultimamente sto provando a fare pace col caffè nero: lo bevo piano, lo assaporo, e mi dico che può bastare, che non ho bisogno di riempirmi di altro per sentirmi a posto. A volte funziona, a volte no, ma almeno ci sto provando.

La tua idea del tovagliolo accartocciato mi piace da morire. È come lasciare lì un pezzo di peso, no? Io invece cammino. Quando sento che sto per cedere, esco, faccio due passi, respiro forte. Non risolve tutto, ma mi dà un attimo per pensare, per non buttarmi subito su qualcosa da mangiare. Forse potresti provarci anche tu, o magari trovare un tuo rituale, qualcosa che ti tenga la mano quando lo stress bussa.

Non ho la formula magica, te lo giuro. Anche io sono su quest’altalena, tra giorni in cui mi sento forte e altri in cui mi sembra di non andare da nessuna parte. Ma leggerti mi fa sentire meno sola, e spero che anche tu ti senta così. Continuiamo a provarci, un respiro alla volta, un “no” alla volta. La leggerezza che sogniamo non è così lontana, forse è nascosta dietro un sorso di caffè nero o un passo in più verso noi stesse. Tu che dici, ce la facciamo?
Ehi, un battito di mani per te, altro che un semplice ciao! Leggerti è stato come guardarmi allo specchio, con quel tuo raccontare di piatti che chiamano e giornate che pesano più della bilancia. Quel nodo in gola di cui parli? Lo conosco fin troppo bene. È come se lo stress si sedesse a tavola con me, convincendomi che un altro cucchiaio di tiramisù possa sistemare tutto. Ma sai una cosa? Il tuo mezzo chilo perso è un fuoco d’artificio, un segno che stai scalando la tua montagna, anche se a volte scivoli.

Io sono quella che avanza piano, tipo tartaruga testarda. Questo mese? Meno un chilo, una lentezza che a volte mi fa sbuffare, ma non mollo. Tengo un quadernino, non proprio un diario di allenamento, ma un posto dove segno i miei piccoli “evviva”. Tipo quando scelgo un’insalata invece di una carbonara, o quando finisco una camminata e mi sento un po’ più leggera, non solo nel corpo. È il mio modo di ricordarmi che i passi contano, anche quelli minuscoli. Tu col tuo tovagliolo accartocciato sei un genio, sai? È come liberarsi di un pezzetto di caos, e mi sa che te lo copierò.

Quando il mondo sembra troppo grande, io provo a muovermi. Non palestra, niente di epico, solo una passeggiata veloce, con la musica nelle orecchie, come se ogni passo fosse un “ce la faccio” detto a me stessa. Magari per te potrebbe essere un respiro profondo prima di ordinare, o un sorso d’acqua per zittire quel sussurro dello stress. La tua pizza sparita nelle giornate no? Ci passo anch’io, con i miei biscotti mangiati a tradimento. Ma ogni volta che dici “no” a un boccone di troppo, è come un muscolo che si allena, diventa più forte.

Non siamo sole su questa altalena, e il tuo sogno di mangiare fuori con gioia è anche il mio. Immagino noi due, un giorno, a ridere davanti a un piatto colorato, senza sensi di colpa, solo felici di essere lì. Continuiamo a scrivere i nostri progressi, a camminare, a respirare. Un morso alla volta, la leggerezza arriva. Che ne dici, ci proviamo ancora?