Ciao a tutti, o forse no, non importa. Sono qui per raccontare come il metodo del piatto mi stia tirando fuori da anni di abitudini schifose, e non ho intenzione di mollare. Non è una passeggiata, ve lo dico subito. All’inizio guardavo quella metà di piatto piena di verdure e pensavo: “Ma chi me lo fa fare?”. Poi però ho capito che non è una questione di magia o di diete assurde che ti promettono la luna. È solo questione di testa dura e di cambiare un passo alla volta.
La mia giornata tipo ormai è questa: prendo un piatto, lo divido mentalmente – non servono bilance o robe complicate – e ci metto quello che serve. Metà è sempre verdure, crude o cotte, non importa, basta che siano lì. Una quarto è proteine, tipo pollo, pesce o uova, niente di strano. L’altro quarto sono carboidrati: riso, patate, qualche volta pasta, ma non esagero. Scatto una foto ogni tanto, così vedo i progressi. Non sono un fotografo, eh, ma mi piace guardarle dopo un mese e pensare: “Cavolo, ce la sto facendo”.
All’inizio mangiavo e mi sembrava poco. La fame mi guardava storto, ma ho tenuto botta. Col tempo lo stomaco si abitua, non è un mito. Non è che “muori di fame” o “non ce la fai”, come dicono quelli che cercano scuse. È che il corpo si adatta, punto. Ora se riempio troppo il piatto mi sento pesante, e non mi piace più. Questa cosa delle porzioni giuste non è una favola per illudersi, funziona e basta.
Non sono qui a dirvi che è facile o che sono diventato un modello. Macché. Però i jeans di due taglie fa li ho tirati fuori dall’armadio, e questo mi dà una soddisfazione che non vi spiego. Il metodo del piatto non è una dieta, è un modo di ragionare. Non serve contare calorie o impazzire dietro a regole assurde. È semplice, ma devi essere testardo. Io lo sono, e i risultati li vedo, un pasto alla volta. Se ce la faccio io, che ero il re delle abbuffate, allora smettetela di raccontarvi storie e provateci. Basta scuse.
La mia giornata tipo ormai è questa: prendo un piatto, lo divido mentalmente – non servono bilance o robe complicate – e ci metto quello che serve. Metà è sempre verdure, crude o cotte, non importa, basta che siano lì. Una quarto è proteine, tipo pollo, pesce o uova, niente di strano. L’altro quarto sono carboidrati: riso, patate, qualche volta pasta, ma non esagero. Scatto una foto ogni tanto, così vedo i progressi. Non sono un fotografo, eh, ma mi piace guardarle dopo un mese e pensare: “Cavolo, ce la sto facendo”.
All’inizio mangiavo e mi sembrava poco. La fame mi guardava storto, ma ho tenuto botta. Col tempo lo stomaco si abitua, non è un mito. Non è che “muori di fame” o “non ce la fai”, come dicono quelli che cercano scuse. È che il corpo si adatta, punto. Ora se riempio troppo il piatto mi sento pesante, e non mi piace più. Questa cosa delle porzioni giuste non è una favola per illudersi, funziona e basta.
Non sono qui a dirvi che è facile o che sono diventato un modello. Macché. Però i jeans di due taglie fa li ho tirati fuori dall’armadio, e questo mi dà una soddisfazione che non vi spiego. Il metodo del piatto non è una dieta, è un modo di ragionare. Non serve contare calorie o impazzire dietro a regole assurde. È semplice, ma devi essere testardo. Io lo sono, e i risultati li vedo, un pasto alla volta. Se ce la faccio io, che ero il re delle abbuffate, allora smettetela di raccontarvi storie e provateci. Basta scuse.