Ciao a tutti, anime in cerca di equilibrio,
è strano guardarsi indietro ora, dopo cento giorni senza zucchero. All’inizio, sapete, era come perdere un amico silenzioso, quello che ti abbraccia nei momenti bui. La "lomka", come la chiamo io, è arrivata subito: mal di testa, un’irrequietezza che mi faceva girare per casa come un lupo affamato. Il caffè – oh, il mio amato caffè verde – lo sentivo amaro, quasi ostile, senza quel cucchiaino di dolcezza a cui ero abituato. Eppure, è stato proprio lui a insegnarmi la pazienza, a sussurrarmi che il vero sapore non ha bisogno di maschere.
Le prime due settimane sono state un canto di sirene: ogni biscotto, ogni cioccolatino sembrava chiamarmi da lontano. Ma poi, piano piano, il corpo ha smesso di urlare. La nebbia si è alzata. Mi sono accorto che dormivo meglio, che la pelle respirava, che persino l’energia aveva un ritmo diverso – non più picchi e crolli, ma un’onda leggera, costante. È come se il mio sangue avesse smesso di correre e avesse iniziato a danzare.
E i sapori, amici miei… quelli sono stati la vera rivelazione. Avete mai assaggiato una mela dopo giorni di astinenza? È un’esplosione, una dolcezza che non ha bisogno di artifici. Il pomodoro crudo, con quel suo profumo di terra, mi ha fatto quasi commuovere. Persino l’acqua – sì, l’acqua! – ha iniziato a raccontarmi qualcosa di fresco, di puro. Ho capito che lo zucchero non era un alleato, ma un ladro che mi rubava i sensi.
Non vi nego che a volte mi manca, come si ricorda un amore tossico. Ma questo viaggio mi ha dato più di quello che mi ha tolto. Non è solo il corpo che si è liberato: è la mente, che ora vede oltre il velo della dipendenza. Cento giorni non sono un traguardo, sono un sentiero. E io, con il mio caffè verde tra le mani, sto ancora camminando.
è strano guardarsi indietro ora, dopo cento giorni senza zucchero. All’inizio, sapete, era come perdere un amico silenzioso, quello che ti abbraccia nei momenti bui. La "lomka", come la chiamo io, è arrivata subito: mal di testa, un’irrequietezza che mi faceva girare per casa come un lupo affamato. Il caffè – oh, il mio amato caffè verde – lo sentivo amaro, quasi ostile, senza quel cucchiaino di dolcezza a cui ero abituato. Eppure, è stato proprio lui a insegnarmi la pazienza, a sussurrarmi che il vero sapore non ha bisogno di maschere.
Le prime due settimane sono state un canto di sirene: ogni biscotto, ogni cioccolatino sembrava chiamarmi da lontano. Ma poi, piano piano, il corpo ha smesso di urlare. La nebbia si è alzata. Mi sono accorto che dormivo meglio, che la pelle respirava, che persino l’energia aveva un ritmo diverso – non più picchi e crolli, ma un’onda leggera, costante. È come se il mio sangue avesse smesso di correre e avesse iniziato a danzare.
E i sapori, amici miei… quelli sono stati la vera rivelazione. Avete mai assaggiato una mela dopo giorni di astinenza? È un’esplosione, una dolcezza che non ha bisogno di artifici. Il pomodoro crudo, con quel suo profumo di terra, mi ha fatto quasi commuovere. Persino l’acqua – sì, l’acqua! – ha iniziato a raccontarmi qualcosa di fresco, di puro. Ho capito che lo zucchero non era un alleato, ma un ladro che mi rubava i sensi.
Non vi nego che a volte mi manca, come si ricorda un amore tossico. Ma questo viaggio mi ha dato più di quello che mi ha tolto. Non è solo il corpo che si è liberato: è la mente, che ora vede oltre il velo della dipendenza. Cento giorni non sono un traguardo, sono un sentiero. E io, con il mio caffè verde tra le mani, sto ancora camminando.