Ehi, eroi delle rinunce e delle mele che sanno di cartone,
la tua storia, Pololo, è un pugno nello stomaco, ma di quelli che ti svegliano. Quel tamburo nella testa? Lo sento ogni volta che passo davanti a una gelateria e il profumo di pistacchio mi fa quasi sbandare. Però, sai com’è, io sono uno che non si arrende al richiamo delle sirene zuccherate. La mia arma segreta non è un tappeto, non sono bottiglie d’acqua usate come manubri, ma le mie gambe e la strada sotto casa. Ogni sera, quando il mondo si calma e il cielo si tinge di viola, mi infilo le scarpe e parto. Non per fare il poeta, ma per ricordarmi che il mio corpo non è un divano.
Cammino, chilometri e chilometri, con la musica nelle orecchie che mi spinge come un coach invisibile. All’inizio era una tragedia: due passi e già ansimavo come se avessi scalato l’Everest. Ora? Quattro, cinque chilometri senza nemmeno accorgermene, e la bilancia inizia a darmi ragione. Non è solo il peso che scende, è la testa che si svuota. Altro che cioccolato, il vero lusso è tornare a casa con le gambe stanche ma il cuore leggero, sapendo che ho bruciato più di un paio di biscotti mai mangiati.
Tu parli di sapori che tornano, di mele che diventano premi. Io dico che il sapore più bello è quello della rivincita. Dopo una camminata lunga, un piatto di zucchine grigliate con un filo d’olio mi sembra alta cucina. Altro che privazione, è come se il palato si fosse ripulito da tutto quel rumore dolce che mi intontiva. E il caffè? Amaro, sempre, perché lo zucchero non mi serve più per sentirmi sveglio. La verità è che queste passeggiate serali sono diventate il mio momento, il mio “vaffanculo” a tutte le volte che mi sono detto “domani cambio”. Domani è oggi, e oggi cammino.
Non fraintendermi, non sono un fanatico del fitness che ti vende sogni. Le pasticcerie mi guardano ancora con occhi da serpente, e ogni tanto il cervello mi sussurra “un cornetto non ti uccide”. Ma poi penso al mio percorso, alle strade che ho macinato, a come le caviglie non protestano più. E sai una cosa? Non serve complicarsi la vita con diete da astronauta o attrezzi da palestra. Un paio di scarpe decenti, una strada qualsiasi, e sei già in pista. La mia palestra è il marciapiede, il mio personal trainer è la voglia di non mollare.
Tu che combatti col tuo tappeto e le tue bottiglie d’acqua, dimmi: cosa ti tiene in piedi quando il profumo di una torta ti tende un agguato? Io, quando la tentazione bussa, penso al prossimo chilometro, al silenzio della sera, al modo in cui la cintura non mi stringe più come un cappio. E se proprio devo cedere, scelgo una mela, ma di quelle croccanti, che almeno mi fanno sentire un po’ meno coniglio. Forza, Pololo, continua a sudare sul tuo tappeto. Io continuo a consumare suole. In questo viaggio senza zucchero, ognuno ha la sua strada, ma la meta è la stessa: guardarci allo specchio e dire “ce l’ho fatta”.
Ehi, guerriero delle serate in movimento,
il tuo racconto mi ha fatto quasi sentire l’asfalto sotto i piedi! Quel viola del cielo, la musica che ti spinge, le zucchine che diventano un piatto da chef… mi ci ritrovo, anche se il mio alleato non è solo il marciapiede, ma un po’ di tecnologia che mi tiene d’occhio. Non fraintendermi, non sono uno che vive per i grafici, ma il mio fidato tracker al polso e le mie bilance smart sono come amici che non mi lasciano mentire.
Quando ho iniziato questo viaggio senza zucchero, ero un disastro: un sorso di succo di frutta e già mi sentivo in colpa. La voglia di mollare era sempre lì, come un’ombra che spunta quando passi davanti a una pasticceria. Ma poi ho scaricato un’app per contare i passi e ho messo su un braccialetto che vibra se sto fermo troppo. All’inizio pensavo fosse una scocciatura, tipo un professore che ti richiama all’ordine. Invece, è diventato il mio ritmo. Mi dice quanto ho camminato, quante calorie ho bruciato, persino come dormo. E sai una cosa? Vedere quei numeri che migliorano giorno dopo giorno è come una pacca sulla spalla.
Non sono un maratoneta, sia chiaro. Come te, ho iniziato ansimando dopo due isolati, con le gambe che urlavano “ma chi te lo fa fare?”. Però, passo dopo passo, ho visto il contatore salire: tremila, cinquemila, ora punto a diecimila al giorno. Non è solo il corpo che cambia, è la testa. Prima mi pesavo e sospiravo, ora salgo sulla bilancia e penso: “Ok, vediamo cosa ho guadagnato oggi”. La mia bilancia non mostra solo chili, ma percentuali di massa grassa, muscoli, persino quanto sono idratato. Sembra una sciocchezza, ma sapere che il mio corpo sta lavorando con me mi dà una spinta che nessuna torta può battere.
E poi c’è l’app che mi ricorda di bere acqua, di muovermi, di prendermi cura di me stesso. Non è che mi comanda, ma mi dà una struttura, un po’ come le tue camminate serali. Quando la tentazione arriva – e arriva, eccome, tipo il profumo di cannoli che ti aggredisce all’improvviso – guardo il mio grafico dei passi e penso: “No, ho fatto troppo per tornare indietro”. È come un gioco: ogni giorno batto il me di ieri. E il premio non è una fetta di torta, ma sentirmi leggero, sveglio, con la testa sgombra.
Parli di rivincita, e hai ragione. Per me la rivincita è anche nei dettagli: il caffè amaro che ora mi piace davvero, le mele che scelgo con cura come se fossero un tesoro, il modo in cui i jeans non mi fanno più la guerra. La tecnologia non fa miracoli, sia chiaro. Non è che un tracker ti cambia la vita da solo. Ma è come un compagno di viaggio che ti ricorda perché hai iniziato. Tu hai il tuo marciapiede, io ho i miei numeri e i miei passi.
Dimmi, tu che macini chilometri sotto le stelle, hai mai provato a tenere traccia di quello che fai? Non per ossessione, ma per curiosità. Io trovo che vedere il percorso, anche solo sul telefono, mi fa sentire un po’ esploratore. E se la torta bussa, come dici tu, io controllo i miei dati e penso al prossimo traguardo. Continuiamo così, tu con le tue suole e io con i miei gadget. Alla fine, lo specchio ci darà ragione.