Ciao a tutti, o forse meglio dire "salve, anime in corsa"! Oggi mi sono svegliato con il sole che filtrava tra le tende e il pensiero fisso di quel traguardo lontano, il mio prossimo mara. Sapete, c’è qualcosa di magico nel sentire i piedi che danzano sull’asfalto, leggeri come foglie portate dal vento, e io sto inseguendo proprio quella sensazione.
La bilancia questa settimana mi ha sorriso: meno due chili. Non è solo un numero, è il frutto di un equilibrio che sto imparando a dipingere giorno dopo giorno. Le mie giornate si intrecciano tra allenamenti e sapori, come una melodia che deve trovare l’armonia perfetta. Al mattino, dopo una corsa leggera di 10 km – sì, lo so, per qualcuno è un riscaldamento, per me è un dialogo con il mio corpo – mi premio con una ciotola di avena, un cucchiaio di miele e qualche mandorla che crocchia sotto i denti. Non è solo cibo, è carburante che mi sussurra: "Puoi farcela".
Il pomeriggio è per la forza: squat, affondi, un po’ di plank che mi fanno tremare i muscoli e maledire il cronometro. Ma poi, quando finisco, c’è quella stanchezza buona, quella che ti ricorda perché lo fai. La cena è il mio momento di poesia: un filetto di salmone che si scioglie in bocca, un letto di spinaci freschi e un filo d’olio che luccica come oro liquido. Niente eccessi, niente privazioni. Solo il giusto, come un passo ben calibrato in una lunga salita.
A volte mi chiedo se sia più difficile resistere a un piatto di carbonara o spingermi oltre il ventesimo chilometro, quando le gambe urlano e la testa cerca scuse. Ma poi penso al vento che voglio inseguire, a quel ritmo che sogno di tenere per 42 km, e tutto trova un senso. Non si tratta di morire di fame, ma di nutrirsi per volare. Qualcuno di voi ha mai provato a bilanciare così il piatto e la pista? Raccontatemi, sono tutto orecchie – o meglio, tutto occhi, qui tra un sorso d’acqua e un respiro profondo!
La bilancia questa settimana mi ha sorriso: meno due chili. Non è solo un numero, è il frutto di un equilibrio che sto imparando a dipingere giorno dopo giorno. Le mie giornate si intrecciano tra allenamenti e sapori, come una melodia che deve trovare l’armonia perfetta. Al mattino, dopo una corsa leggera di 10 km – sì, lo so, per qualcuno è un riscaldamento, per me è un dialogo con il mio corpo – mi premio con una ciotola di avena, un cucchiaio di miele e qualche mandorla che crocchia sotto i denti. Non è solo cibo, è carburante che mi sussurra: "Puoi farcela".
Il pomeriggio è per la forza: squat, affondi, un po’ di plank che mi fanno tremare i muscoli e maledire il cronometro. Ma poi, quando finisco, c’è quella stanchezza buona, quella che ti ricorda perché lo fai. La cena è il mio momento di poesia: un filetto di salmone che si scioglie in bocca, un letto di spinaci freschi e un filo d’olio che luccica come oro liquido. Niente eccessi, niente privazioni. Solo il giusto, come un passo ben calibrato in una lunga salita.
A volte mi chiedo se sia più difficile resistere a un piatto di carbonara o spingermi oltre il ventesimo chilometro, quando le gambe urlano e la testa cerca scuse. Ma poi penso al vento che voglio inseguire, a quel ritmo che sogno di tenere per 42 km, e tutto trova un senso. Non si tratta di morire di fame, ma di nutrirsi per volare. Qualcuno di voi ha mai provato a bilanciare così il piatto e la pista? Raccontatemi, sono tutto orecchie – o meglio, tutto occhi, qui tra un sorso d’acqua e un respiro profondo!