Passeggiate serali: perché i chilometri prima di dormire mi stanno cambiando la vita?

Labradorek

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non proprio un ciao, più un sussurro dal crepuscolo. Anche stasera ho infilato le scarpe, quelle con la suola che ormai conosce ogni crepa del marciapiede, e sono partita. Non so perché, ma i chilometri prima di dormire hanno qualcosa di strano, di quasi irreale. Oggi ho scelto il percorso lungo il fiume, quello con i lampioni che tremolano come se avessero sonno anche loro. Cinque chilometri, forse sei, non conto più con precisione, mi lascio guidare dal rumore dei miei passi e dal vento che mi scompiglia i pensieri.
All’inizio era solo per muovermi, per smaltire quel peso che mi portavo dietro, non solo sulle cosce ma anche nella testa. Ora è diverso. Camminare di sera mi svuota, ma in un modo che riempie. Il buio mi avvolge, i rumori della giornata si spengono e resto solo io, con il mio respiro che a volte inciampa, a volte corre. Ieri ho notato che la cintura stringe meno, che i pantaloni non protestano quando mi siedo. Non è una bilancia a dirmelo, è il mio corpo che bisbiglia: "Ci stiamo riuscendo".
Stasera c’era la luna, una fettina sottile, sembrava unghia spezzata nel cielo. Mi sono fermata un attimo a guardarla, con le gambe che pizzicavano dalla fatica e il cuore che batteva lento, quasi pigro. Ho pensato a quanto sia strano che qualcosa di semplice come mettere un piede davanti all’altro possa scavare via pezzi di me che non voglio più. Non è solo il peso, è quella pesantezza che mi teneva ferma. Ogni passo è come un graffio su un muro che non vedo più.
Torno a casa con i capelli appiccicati alla fronte e una calma che non so spiegare. Il mondo dorme, o forse sono io che dormo meglio dopo. Qualcuno ha mai provato questa sensazione? O sono solo io che trasformo una passeggiata in un viaggio che non capisco del tutto? Domani sera tornerò là fuori, magari verso il parco, con quegli alberi che sembrano giudicarmi in silenzio. Vedremo chi vince.
 
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Ehi, un saluto dal silenzio della mia cucina, con una tazza di tisana che profuma di erbe e di calma. Leggendo il tuo post, mi sono quasi visto lì, a camminare con te sotto quella luna a fettina, con il vento che sussurra e i lampioni che sonnecchiano. È pazzesco quanto una cosa semplice come una passeggiata serale possa diventare così profonda, vero? Mi ha fatto ripensare al mio percorso nel marathon “100 giorni senza zucchero”, che ormai è diventato una specie di viaggio parallelo al tuo, anche se i miei chilometri li faccio più tra i fornelli e i mercati.

All’inizio, eliminare lo zucchero è stato come buttarmi in un burrone senza paracadute. Le prime due settimane? Un disastro. Crisi di astinenza vere e proprie: mal di testa, nervosismo, quella voglia di infilarmi in bocca qualsiasi cosa dolce, anche solo un cucchiaino di miele. Mi sentivo come se il mio corpo urlasse: “Dammi zucchero o ti faccio pentire!”. Ma poi, piano piano, è cambiato tutto. È come se il mio palato si fosse svegliato da un lungo sonno. Sai quelle verdure che prima trovavo insipide? Tipo il cavolo nero o i finocchi? Ora hanno un sapore così intenso, così vivo, che mi sembra di scoprirli per la prima volta. È come se, togliendo lo zucchero, il mondo avesse acceso i colori dei sapori.

E il corpo, oddio, il corpo segue. Non so se è per le vitamine che arrivano da tutto questo cibo vero – frutta croccante, verdure crude, semi che scrocchiano – ma mi sento più leggero, non solo di peso. È una leggerezza che mi porto dentro, come se stessi lasciando andare pezzi di stanchezza che non sapevo di avere. La bilancia? Boh, non la guardo spesso, ma i jeans che prima mi guardavano male ora si lasciano abbottonare senza fare storie. E la cosa più strana è l’energia. Non quella nervosa del caffè, ma una specie di calma sveglia, come se il mio corpo dicesse: “Ok, ora ci siamo”.

Leggendo di te che cammini e senti il tuo respiro, mi viene in mente quando preparo una cena senza zucchero e mi fermo a sentire il profumo delle spezie, o quando mordo una mela e mi sembra un dessert. Forse è la stessa cosa: tu trovi pace nei tuoi passi, io nei miei sapori nuovi. È come se stessimo entrambi scavando via strati di roba che non ci serve più, no? Non so se anche tu hai provato questa sensazione di “riscoperta” mangiando diversamente, ma mi piacerebbe saperlo. Magari mentre cammini sotto quegli alberi giudiconi del parco, ti capita di pensare a come il tuo corpo ti sta ringraziando, un passo alla volta, un morso alla volta.

Domani sera, quando sarai là fuori, prova a immaginare me che armeggio con una padella di zucchine e curcuma, cercando di non bruciare tutto. E chissà, magari un giorno ci incrociamo: tu con le tue scarpe che conoscono il marciapiede, io con una busta di verdure fresche. Continuiamo a graffiare quel muro, ok?