Camminare sotto la pioggia: la mia storia di perdita di peso con la nordic walking, a casa o in palestra?

Mr Sky

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non so se qualcuno mi leggerà davvero sotto questa pioggia che non smette mai. Oggi guardo fuori dalla finestra, le gocce che scivolano lente sul vetro, e penso a com’ero qualche anno fa. Pesante, non solo nel corpo, ma anche dentro. Poi è arrivata la nordic walking, un po’ per caso, un po’ per disperazione.
Non è che avessi chissà quale palestra vicino casa, sapete? Abito in un posto dove il cielo è spesso grigio e le strade sono silenziose. Così ho preso due bastoncini, semplici, niente di sofisticato, e ho iniziato a camminare. All’inizio era strano: ti muovi, spingi con le braccia, il ritmo è diverso da una passeggiata qualunque. Ma sotto la pioggia, con quel rumore di fondo, diventava quasi ipnotico. Non serviva una palestra, bastavano un paio di scarpe decenti, un impermeabile e la voglia di non arrendermi.
La tecnica l’ho imparata piano piano. Devi tenere i bastoncini inclinati, non troppo avanti, e spingere con le braccia mentre il piede opposto va avanti. Sembra facile, ma ci vuole tempo per sentirti naturale. E sotto la pioggia è ancora più strano: il terreno scivola un po’, il vento ti spinge, ma dopo un po’ ti ci abitui. È come se il meteo diventasse parte dell’allenamento.
Non ho mai amato gli specchi delle palestre, quel rumore di pesi che cadono, le luci troppo forti. A casa, o meglio fuori casa, con la nordic walking, c’ero solo io, i miei pensieri e quel movimento costante. Non so dirvi quanti chili ho perso con precisione, forse 15, forse di più. Ma non era solo il peso a sparire: era la stanchezza, quel senso di essere intrappolata in me stessa.
Certo, ci vuole l’attrezzatura giusta. I bastoncini devono essere della tua altezza, o quasi, e le scarpe meglio se con una buona presa, perché sotto la pioggia non si scherza. Io ho un vecchio zainetto impermeabile dove metto una bottiglia d’acqua e il telefono, ma niente di più. Non serve altro.
A volte mi chiedo se sarebbe stato diverso in palestra. Magari più facile, con il tapis roulant sempre asciutto e il riscaldamento acceso. Ma poi penso a quelle mattine umide, quando tornavo a casa con i vestiti fradici e mi sentivo viva, più leggera. Non so, forse la pioggia mi ha salvato, o forse è stato il semplice fatto di muovermi, di non stare ferma. Voi che ne pensate? Casa, palestra, o magari solo un paio di bastoncini e un sentiero bagnato?
 
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Ehi, non proprio un saluto, più un grido nella nebbia di questa pioggia infinita. Ti leggo e mi sembra di guardarmi allo specchio di qualche anno fa, quando anche io mi sentivo così, pesante, lenta, quasi soffocata da me stessa. La nordic walking, dici? Interessante. Quel ritmo strano, con i bastoncini che tagliano l’aria umida, lo capisco bene. Ma sai, io non credo che sia solo il movimento a fare la differenza. È quello che metti dentro di te, o meglio, quello che togli.

Non fraintendermi, camminare sotto la pioggia ha il suo fascino, ti dà quella sensazione di lotta contro tutto, e sì, brucia calorie. Però il vero cambiamento, per me, è partito dal detox. Non parlo di palestra o tapis roulant, che pure odio quanto te per quelle luci accecanti e il clangore dei pesi. Parlo di pulirsi dentro. Io ho iniziato con i succhi, niente di complicato: una centrifuga, un po’ di sedano, mela, zenzero e via. All’inizio è strano, ti senti vuoto, ma poi capisci che è quel vuoto che ti salva. Toglie il gonfiore, la stanchezza, quel peso che non leggi sulla bilancia ma che ti porti dietro lo stesso.

Un consiglio? Prova un frullato semplice dopo le tue camminate: spinaci, banana, un cucchiaio di semi di chia e acqua. Niente zuccheri, niente schifezze. Ti riempie senza appesantirti e aiuta il corpo a liberarsi di tutto quel ristagno che la pioggia sembra amplificare. Ma attento, non esagerare: il detox non è uno scherzo. Se spingi troppo con i succhi o salti troppi pasti, ti ritrovi debole, con la testa che gira, e sotto la pioggia non è il massimo. Io una volta ho provato un digiuno di tre giorni solo a liquidi, e il secondo giorno quasi svenivo sul divano. Serve equilibrio, sempre.

La tua storia mi piace, davvero. Quei bastoncini, l’impermeabile, il sentiero scivoloso: è poesia, in un certo senso. Ma se vuoi che quel “più leggera” diventi una cosa stabile, non basta muoverti. La pioggia può lavare fuori, ma dentro ci vuole altro. Casa, palestra, o un sentiero bagnato? Io dico un sentiero bagnato e un bicchiere di succo verde. Tu che ne pensi? Non è che sotto quel cielo grigio ti stai dimenticando di disintossicarti davvero?
 
Ehi, un urlo nel diluvio, eh? Ti vedo lì, coi bastoncini che fendono la pioggia, e mi immagino subito il mio personaggio: un esploratore solitario, livello 12, in missione su un sentiero fradicio. La tua storia mi prende, sai? Quel nordic walking che descrivi, col suo ritmo strano, è tipo un’abilità speciale che sblocchi dopo un tot di fatica. Io ci sto, è un bel “kicker” per il fisico, ma hai ragione: non è solo il movimento a fare il livello up.

Io gioco così: ogni camminata è un quest, ogni chilo perso è esperienza per il mio avatar. Ma il vero trucco, il mio “power-up” segreto, è trasformare anche il cibo in parte del gioco. Non fraintendermi, i tuoi succhi detox mi intrigano, quel mix di sedano e zenzero sembra una pozione rigenerante niente male. Però io sono più da “inventario bilanciato”. Tipo, dopo una camminata epica sotto la pioggia, non mi butto su un frullato e basta. Creo una ricompensa: una ciotola con fiocchi d’avena, un po’ di frutta e un cucchiaino di miele. È il bottino del guerriero, mi dà energia senza farmi tornare al punto di spawn con la fame che ti aggredisce.

Il detox che dici lo capisco, è come resettare le statistiche del corpo, liberarsi dai debuff tipo gonfiore o stanchezza. Ma attento, come hai detto tu, se esageri è game over: ti ritrovi con la barra dell’energia a zero e la pioggia che ti trolla. Io una volta ho provato un “digiuno del mago” solo con tisane per un giorno intero, e alla fine ero più un NPC stordito che un eroe. Equilibrio, ci vuole, sempre un occhio alla stamina.

La tua idea del frullato post-camminata la rubo, però. Spinaci, banana e chia? Sembra una pozione di resistenza perfetta per il mio kit. Magari ci aggiungo un pizzico di cannella, giusto per dare un boost al sapore e sentirimi un alchimista. E tu, coi tuoi bastoncini, hai mai provato a rendere le camminate un vero quest? Tipo, “raggiungi quel ponte lontano” o “sopravvivi a 5 km senza fermarti”? Io lo faccio e segno tutto: distanza, tempo, calorie bruciate. È il mio diario di missione, e ogni volta che lo aggiorno sento il personaggio crescere.

Il sentiero bagnato è poesia, sì, ma è anche un campo di battaglia. La pioggia ti sfida, ti appesantisce gli stivali, e se non stai attento ti manda in tilt. Muoversi va bene, ma se dentro sei ancora “intasato”, come dici tu, è come partire con un malus. Io dico: nordic walking per i punti esperienza, un bicchiere di succo verde per la purificazione, e una ricompensa sana per non crollare. Tu che ne pensi, esploratrice della pioggia? Pronto a livellare sul serio o ti fermi al primo checkpoint?
 
Ciao a tutti, o forse no, non so se qualcuno mi leggerà davvero sotto questa pioggia che non smette mai. Oggi guardo fuori dalla finestra, le gocce che scivolano lente sul vetro, e penso a com’ero qualche anno fa. Pesante, non solo nel corpo, ma anche dentro. Poi è arrivata la nordic walking, un po’ per caso, un po’ per disperazione.
Non è che avessi chissà quale palestra vicino casa, sapete? Abito in un posto dove il cielo è spesso grigio e le strade sono silenziose. Così ho preso due bastoncini, semplici, niente di sofisticato, e ho iniziato a camminare. All’inizio era strano: ti muovi, spingi con le braccia, il ritmo è diverso da una passeggiata qualunque. Ma sotto la pioggia, con quel rumore di fondo, diventava quasi ipnotico. Non serviva una palestra, bastavano un paio di scarpe decenti, un impermeabile e la voglia di non arrendermi.
La tecnica l’ho imparata piano piano. Devi tenere i bastoncini inclinati, non troppo avanti, e spingere con le braccia mentre il piede opposto va avanti. Sembra facile, ma ci vuole tempo per sentirti naturale. E sotto la pioggia è ancora più strano: il terreno scivola un po’, il vento ti spinge, ma dopo un po’ ti ci abitui. È come se il meteo diventasse parte dell’allenamento.
Non ho mai amato gli specchi delle palestre, quel rumore di pesi che cadono, le luci troppo forti. A casa, o meglio fuori casa, con la nordic walking, c’ero solo io, i miei pensieri e quel movimento costante. Non so dirvi quanti chili ho perso con precisione, forse 15, forse di più. Ma non era solo il peso a sparire: era la stanchezza, quel senso di essere intrappolata in me stessa.
Certo, ci vuole l’attrezzatura giusta. I bastoncini devono essere della tua altezza, o quasi, e le scarpe meglio se con una buona presa, perché sotto la pioggia non si scherza. Io ho un vecchio zainetto impermeabile dove metto una bottiglia d’acqua e il telefono, ma niente di più. Non serve altro.
A volte mi chiedo se sarebbe stato diverso in palestra. Magari più facile, con il tapis roulant sempre asciutto e il riscaldamento acceso. Ma poi penso a quelle mattine umide, quando tornavo a casa con i vestiti fradici e mi sentivo viva, più leggera. Non so, forse la pioggia mi ha salvato, o forse è stato il semplice fatto di muovermi, di non stare ferma. Voi che ne pensate? Casa, palestra, o magari solo un paio di bastoncini e un sentiero bagnato?
Ehi, sai che ti dico? La tua storia mi ha colpito, ma non in quel modo dolce che ti scalda il cuore. No, mi ha fatto arrabbiare. Non con te, sia chiaro, ma con me stesso. Leggo di te che cammini sotto la pioggia, con quei bastoncini, e mi vedo qui, a fissare il frigo ogni notte come se fosse il mio peggior nemico. E sai una cosa? Vinco sempre io, ma perdo allo stesso tempo. Ogni. Singola. Volta.

La tua nordic walking, quel ritmo che descrivi, mi fa quasi paura. Non perché sia chissà cosa, ma perché mi ricorda che io non faccio niente. Nada. Zero. La sera mi siedo, accendo la tv, e giù, una manciata di patatine, un pezzo di cioccolato, magari un panino che non dovrebbe nemmeno esistere a quell’ora. È come se la notte mi controllasse, come se il buio mi dicesse: “Ehi, tanto chi ti vede? Mangia e stai zitto”. E io obbedisco. Patetico, no?

Leggerti mi ha fatto venir voglia di spaccare qualcosa, tipo questa abitudine schifosa. Non so se i bastoncini sono la mia strada, ma quel tuo muoverti, quel non arrenderti, mi sta urlando in faccia che devo fare qualcosa. Magari non sotto la pioggia, perché, diciamocelo, già esco poco di casa, figuriamoci con l’acqua che mi cola in testa. Però l’idea di un ritmo, di un movimento, mi sta lavorando dentro. Forse potrei provare a camminare, anche solo intorno all’isolato, senza niente di complicato. O magari mettere su della musica e muovermi in salotto, che ne so. Qualcosa, qualsiasi cosa, pur di non lasciare che la notte mi mangi vivo.

Tu parli di scarpe, bastoncini, zainetti. Io non ho niente di tutto questo. Ho un paio di sneakers vecchie, forse pure bucate, e una giacca che dovrebbe tenere l’acqua. Basterebbe? Non lo so. Ma quel tuo “sentirsi viva” mi ha fatto venire i brividi. Io non mi sento vivo da un pezzo, e forse è ora di smettere di nascondermi dietro le tende di casa. La palestra non fa per me, troppo lontana, troppo tutto. Ma camminare? Quello magari ce la faccio. Anche se mi sa che la pioggia la lascio a te, almeno per ora.

Dimmi una cosa: come hai fatto a non mollare? Perché io, te lo giuro, ci provo a cambiare, ma poi la notte arriva e sono punto e a capo. E non dirmi solo “volontà”, perché quella mi sembra una parola vuota quando sei da solo in cucina alle due di mattina. Dammi un trucco, un segreto, qualcosa che mi faccia paura di non provarci. Perché ora come ora, la tua storia mi sta minacciando di cambiare, e io non so se sono pronto. Ma voglio esserlo.
 
La tua storia mi ha fatto sentire un po’ meno solo, sai? Quel tuo camminare sotto la pioggia, con i bastoncini, mi sembra un’immagine così potente. Io sono qui, a combattere con le mie notti in cucina, dove il cibo diventa un rifugio che poi mi fa solo male. Non parlo di diete, quelle mi hanno fregato troppe volte, con promesse che finiscono in sensi di colpa. Ma tu, con quel ritmo, mi fai pensare che forse non serve un piano perfetto. Forse basta muoversi, anche poco, anche storto. Non ho bastoncini, ma un paio di scarpe sì. Magari domani esco, anche solo per cinque minuti. Il tuo “non mollare” mi ronza in testa: non so come ci sei riuscito, ma mi piace pensare che sia stato un passo alla volta, senza guardarti indietro. Grazie per averlo condiviso, mi hai dato un piccolo calcio per iniziare.