Riflessioni su una vita a basso contenuto di carboidrati: il potere dei grassi come alleati

mcdomatt

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6 Marzo 2025
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Ragazzi, dopo mesi di sperimentazioni con Atkins e un passaggio graduale verso un approccio più paleo, sto iniziando a vedere i grassi non solo come un carburante, ma come veri protagonisti di questa trasformazione. All’inizio ero scettico, lo ammetto: anni di messaggi su “grassi cattivi” mi avevano condizionato. Ma poi ho deciso di approfondire, di ascoltare il mio corpo invece delle solite narrazioni. E sapete cosa? Funziona. Non parlo solo di chili persi, che comunque ci sono stati - circa 7 in tre mesi, senza nemmeno troppa fatica - ma di una chiarezza mentale che non avevo mai sperimentato prima. Niente più cali di zucchero, niente fame isterica a metà giornata.
Con Atkins ho imparato a tagliare i carboidrati senza paura, ma era rigido, quasi punitivo. Passare a paleo mi ha aperto un mondo: più varietà, più sapori, e un senso di equilibrio che mi mancava. La chiave, per me, è stata smettere di demonizzare ciò che mangio e iniziare a capire come ogni alimento interagisce con me. I grassi - burro, olio di cocco, avocado - non sono solo “permessi”, sono diventati alleati. Mi tengono sazio, mi danno energia stabile, e sì, anche il palato ringrazia.
Non è tutto rose e fiori, intendiamoci. Le prime settimane sono state un caos: il corpo si ribellava, voleva la sua dose di pasta e pane. Ma una volta superata quella fase, ho capito che non stavo rinunciando a qualcosa, stavo guadagnando controllo. Certo, ci sono sfide: mangiare fuori è un’impresa, e spiegare a mia madre che no, non voglio le sue lasagne, è una lotta settimanale. Però i numeri parlano: il girovita si è ristretto, la bilancia è amica, e persino il medico ha alzato un sopracciglio sorpreso ai miei ultimi esami.
Sto ancora sperimentando, non ho tutte le risposte. A volte mi chiedo se sia sostenibile a lungo termine, o se il mio amore per il guanciale mi stia portando troppo lontano. Ma per ora, questa strada mi sta insegnando una lezione profonda: forse non è solo questione di perdere peso, ma di riscoprire come funzioniamo davvero. Qualcuno di voi ha avuto esperienze simili? Come vi siete adattati alle curve di questo percorso?
 
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Ragazzi, dopo mesi di sperimentazioni con Atkins e un passaggio graduale verso un approccio più paleo, sto iniziando a vedere i grassi non solo come un carburante, ma come veri protagonisti di questa trasformazione. All’inizio ero scettico, lo ammetto: anni di messaggi su “grassi cattivi” mi avevano condizionato. Ma poi ho deciso di approfondire, di ascoltare il mio corpo invece delle solite narrazioni. E sapete cosa? Funziona. Non parlo solo di chili persi, che comunque ci sono stati - circa 7 in tre mesi, senza nemmeno troppa fatica - ma di una chiarezza mentale che non avevo mai sperimentato prima. Niente più cali di zucchero, niente fame isterica a metà giornata.
Con Atkins ho imparato a tagliare i carboidrati senza paura, ma era rigido, quasi punitivo. Passare a paleo mi ha aperto un mondo: più varietà, più sapori, e un senso di equilibrio che mi mancava. La chiave, per me, è stata smettere di demonizzare ciò che mangio e iniziare a capire come ogni alimento interagisce con me. I grassi - burro, olio di cocco, avocado - non sono solo “permessi”, sono diventati alleati. Mi tengono sazio, mi danno energia stabile, e sì, anche il palato ringrazia.
Non è tutto rose e fiori, intendiamoci. Le prime settimane sono state un caos: il corpo si ribellava, voleva la sua dose di pasta e pane. Ma una volta superata quella fase, ho capito che non stavo rinunciando a qualcosa, stavo guadagnando controllo. Certo, ci sono sfide: mangiare fuori è un’impresa, e spiegare a mia madre che no, non voglio le sue lasagne, è una lotta settimanale. Però i numeri parlano: il girovita si è ristretto, la bilancia è amica, e persino il medico ha alzato un sopracciglio sorpreso ai miei ultimi esami.
Sto ancora sperimentando, non ho tutte le risposte. A volte mi chiedo se sia sostenibile a lungo termine, o se il mio amore per il guanciale mi stia portando troppo lontano. Ma per ora, questa strada mi sta insegnando una lezione profonda: forse non è solo questione di perdere peso, ma di riscoprire come funzioniamo davvero. Qualcuno di voi ha avuto esperienze simili? Come vi siete adattati alle curve di questo percorso?
Ehi, che bella riflessione! Leggerti mi ha fatto ripensare al mio percorso, che però ha una marcia in più… o in meno, dipende dal punto di vista, perché il mio corpo gioca con gli ormoni come se fosse un puzzle incasinato. Ho l’ipotiroidismo, quindi il mio metabolismo a volte sembra in modalità “risparmio energetico estremo”. All’inizio, quando ho provato a tagliare i carboidrati, è stato come chiedere a una tartaruga di correre la maratona. Zero energia, testa annebbiata, e la bilancia che mi guardava con aria di sfida.

Poi ho iniziato a lavorare con un endocrinologo e una nutrizionista, e lì è cambiato tutto. Non sono andata full keto o paleo come te, ma ho ridotto i carboidrati gradualmente, puntando su grassi sani. Avocado e olio d’oliva sono diventati i miei migliori amici, e il burro… beh, diciamo che ora capisco perché lo chiamano “oro liquido”. La cosa bella? Non mi sento più schiava della fame. Prima, a metà mattina, ero già in modalità “mangerei un divano”. Ora, con più grassi e proteine, sto bene per ore.

Non è stato facile, eh. Il mio corpo ci ha messo un po’ ad adattarsi, e ancora oggi devo stare attenta a non esagerare con certi alimenti, perché gli ormoni fanno i capricci. Però, piano piano, sto vedendo risultati: non solo qualche chilo in meno, ma anche più stabilità, meno gonfiore, e un umore meno ballerino. Le analisi stanno migliorando, e il medico mi ha detto che sto andando nella direzione giusta, anche se ci vuole pazienza.

Mangiare fuori è una mezza tragedia, concordo con te! E pure convincere la famiglia che non sto “facendo la schizzinosa” ma seguendo un piano. Però, sai, più ascolto il mio corpo, più mi rendo conto che sto imparando a volergli bene, non solo a “punirlo” per dimagrire. Tu come fai con le tentazioni? Tipo, il guanciale è una scelta di vita o una fase? Fammi sapere, sono curiosa!
 
Ehi, il tuo racconto mi ha colpito, ma devo dirtelo: leggere di guanciale e burro mi fa quasi invidia, perché casa mia è un campo minato per chi prova a mangiare così! Vivo con una famiglia che considera la pasta un diritto umano e il pane fatto in casa una religione. Seguire un approccio low-carb in questo contesto è come fare equilibrismo su un filo sospeso sopra un buffet di carboidrati. E, credimi, la pressione familiare non aiuta.

Quando ho iniziato a tagliare i carboidrati per provare a sentirmi meglio, non tanto per i chili ma per la mia testa – ero un fascio di nervi, sempre ansiosa, con l’umore che faceva le montagne russe – mi sono scontrata con un muro. Mia madre mi guardava come se stessi tradendo la tradizione di famiglia ogni volta che rifiutavo il suo ragù. “Ma come, non mangi la mia lasagna? È fatta con amore!”. E mio padre, che è convinto che senza pane non si viva, mi passava fette di ciabatta sotto il tavolo come se fosse una missione segreta. All’inizio ci ridevo, ma dopo un po’ mi sono sentita quasi in colpa, come se stessi sbagliando qualcosa solo perché volevo ascoltare il mio corpo.

La verità? Non è solo una questione di cibo. È una battaglia mentale. Ho dovuto imparare a dire “no” senza sentirmi un mostro, e non è stato facile. Ho iniziato piano, sostituendo la pasta con verdure e aggiungendo più grassi come olio d’oliva, noci, avocado. Non sono rigorosa come te, non seguo Atkins né paleo, ma cerco di tenere i carboidrati bassi e i grassi alti. E sai una cosa? Funziona. Non parlo di numeri sulla bilancia – anche se, ok, qualche chilo l’ho perso – ma di come mi sento. La nebbia mentale si è diradata, l’ansia non mi strangola più ogni giorno, e finalmente riesco a dormire senza rigirarmi per ore. È come se il mio cervello avesse trovato un interruttore per calmarsi.

Ma il prezzo da pagare è alto. Mangiare fuori con la famiglia è un incubo: tutti ordinano pizza o risotto, e io sono lì a chiedere se possono farmi un’insalata con dell’olio extra, mentre mia sorella alza gli occhi al cielo. E le riunioni di famiglia? Un’imboscata di torte e biscotti. Ho provato a spiegare che non è una dieta temporanea, ma un modo per stare meglio, ma per loro è come se parlassi un’altra lingua. A volte mi chiedo se sono io quella sbagliata, se sto esagerando a voler cambiare così tanto.

Tu come fai con la tua famiglia? Riesci a coinvolgerli o ti lasciano in pace? E il guanciale, dai, raccontami: è una tentazione che gestisci o ormai è il tuo totem? Io sto ancora cercando di trovare un equilibrio tra il voler stare bene e il non sentirmi un’aliena a tavola. Se hai qualche trucco per sopravvivere al “tribunale della cucina italiana”, condividilo, ti prego!
 
Ehi, leggendo il tuo messaggio mi sono sentita come se stessi guardando uno specchio della mia vita! La tua storia con la famiglia, il ragù di tua madre, il pane passato sotto il tavolo… sembra una sitcom italiana, ma capisco benissimo quanto possa pesare. Quel mix di sensi di colpa, pressione sociale e il desiderio di stare meglio è una lotta che conosco fin troppo bene. Ti scrivo dalla mia piccola bolla di yoga e verdure, sperando di condividere qualcosa che ti sia utile.

Anch’io vivo in una casa dove la pasta è sacra. Mia nonna, che ha 80 anni e una passione per i tortellini, mi guarda con sospetto ogni volta che porto in tavola una ciotola di zucchine saltate invece di un piatto di spaghetti. “Ma cosa mangi, erba?” mi dice, e ogni volta devo trattenermi dal ridere o dal sentirmi in difetto. All’inizio, quando ho iniziato a tagliare i carboidrati, mi sembrava di combattere contro un esercito di tradizioni. Non tanto per i chili, anche se la bilancia ogni tanto mi dà una pacca sulla spalla, ma per come il mio corpo e la mia mente rispondono. Dopo anni di gonfiore, stanchezza e sbalzi d’umore, ho scoperto che più verdure e grassi sani mettevo nel piatto, più mi sentivo leggera, non solo fisicamente. È come se il mio corpo mi dicesse finalmente “grazie”.

Il mio trucco? Ho trovato un alleato nella yoga e in un po’ di cardio. Non sono una fanatica del fitness, ma dopo una sessione di yoga, con qualche flusso dinamico che mi fa sudare, e magari una corsa leggera, mi sento così bene che dire “no” alla lasagna diventa più facile. Non è solo una questione di bruciare calorie: lo yoga mi aiuta a connettermi con me stessa, a ricordarmi perché sto facendo queste scelte. Quando la mia mente è calma, resistere alla pressione familiare è meno faticoso. E poi, diciamocelo, dopo una pratica intensa, una ciotola di cavolo nero saltato con olio d’oliva e un po’ di parmigiano mi sembra un premio, non una punizione.

Per la famiglia, invece, è ancora un lavoro in corso. Ho smesso di cercare di convincerli. All’inizio volevo spiegare tutto: i benefici dei grassi, come le verdure mi fanno sentire viva, il fatto che non è una dieta ma un modo di ascoltare il mio corpo. Ma dopo un po’ ho capito che non devo giustificarmi. Ora porto i miei piatti a tavola senza fare troppi discorsi. Ho iniziato a cucinare di più, e questo aiuta. Faccio cose semplici: melanzane grigliate con una salsa di tahina, insalate di rucola con noci e avocado, zucchine spiralizzate con un pesto di basilico. A volte qualcuno assaggia e dice “non male”, e per me è una piccola vittoria. Con mia nonna ho trovato un compromesso: mangio il suo brodo, ma ci metto dentro spinaci freschi invece dei tortellini. Lei brontola, ma almeno non mi guarda più come se fossi un’extraterrestre.

Per le riunioni di famiglia o le cene fuori, il mio salvavita è prepararmi prima. Mangio qualcosa di saziante a casa, tipo un uovo sodo con un po’ di verdure, così non arrivo affamata e non cedo alla pizza solo per disperazione. E quando ordino, cerco di non farne un dramma: chiedo un contorno di verdure grigliate o un’insalata bella carica, e se mi guardano storto, sorrido e cambio discorso. È una danza, un po’ come bilanciare una posizione di yoga complicata: ci vuole pratica, e a volte cadi, ma poi ti rialzi.

Sul guanciale, ti confesso: per me è come un piccolo lusso. Non lo mangio tutti i giorni, ma quando lo faccio, lo trato come un rituale. Una fettina croccante in una padella di broccoli o cavolfiori, e mi sento come se stessi festeggiando. È il mio modo di ricordarmi che mangiare così non è privazione, ma abbondanza. Magari prova a trovare il tuo “guanciale”, quel cibo che ti fa sentire coccolata senza deragliare dal tuo percorso.

Un ultimo pensiero: non sei sbagliata, e non stai esagerando. Stai cercando di volerti bene, e questo è già un atto di coraggio, specialmente in una cultura come la nostra dove il cibo è amore, tradizione, tutto. Sii gentile con te stessa quando scivoli o quando ti senti un’aliena. Ogni passo conta, ogni insalata è una piccola rivoluzione. Tu come stai tenendo duro? Hai trovato qualche piatto che ti fa sentire bene e placa il “tribunale della cucina”? Raccontami, sono tutta orecchi!