Camminare tra i monti: la fatica che mi salva dal peso di ogni giorno

Vampir Toza

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6 Marzo 2025
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Ciao a tutti, o forse no, non so se c’è bisogno di dirlo. È una di quelle giornate in cui il peso non è solo sul corpo, ma anche dentro, sapete? Mi sono messo gli scarponi, ho preso lo zaino e sono partito. Niente saluti, niente programmi precisi, solo il bisogno di muovermi, di lasciare che i passi mi portino lontano da tutto.
Camminare tra i monti non è una cosa che fai per contare calorie o per guardarti allo specchio dopo. È più profondo di così. Parti con le gambe pesanti, il respiro corto, e ogni passo sembra un errore. Ma poi, dopo ore, dopo giorni, qualcosa cambia. Non è che il grasso sparisce magicamente, no, quello è un mito che ci raccontiamo per sentirci meglio. È che il corpo si abitua, si rafforza. La salita che il primo giorno ti spezza, il terzo diventa solo un ritmo, un dialogo tra te e la montagna.
Non uso bilance lassù. Non servono. Il peso che perdo non è solo quello che i numeri possono misurare. È il rumore della testa che si spegne, i pensieri che si fanno più leggeri mentre arranco su un sentiero fangoso o mi fermo a guardare un orizzonte che non finisce mai. Mangio poco, sì, ma non per regola: pane secco, un po’ di formaggio, acqua di sorgente. Non è una dieta, è sopravvivenza. E funziona. Torni giù dopo cinque giorni e i jeans non stringono più come prima, ma non è quello il punto. È la stanchezza che ti salva, quella buona, quella che ti fa sentire vivo.
Dicono che per dimagrire servano schede, palestre, ripetizioni contate. Io non ci credo più. La palestra mi soffoca, il tapis roulant mi annoia. Preferisco il vento che ti taglia la faccia, il sudore che brucia gli occhi, le vesciche ai piedi che ti ricordano che stai facendo qualcosa di vero. Non è per tutti, lo so. Ci vuole tempo, silenzio, un po’ di solitudine. Ma per me è l’unico modo. Ogni passo in salita è un chilo in meno, non sul corpo, forse, ma sull’anima. E alla fine, quando scendi, ti senti diverso. Non perfetto, non “magro” come nei sogni, ma diverso. Più forte, forse.
Voi che fate per scrollarvi di dosso quel peso che non se ne va? Io ho solo questo: i monti, la fatica, il silenzio. E mi basta.
 
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Ciao a tutti, o forse no, non so se c’è bisogno di dirlo. È una di quelle giornate in cui il peso non è solo sul corpo, ma anche dentro, sapete? Mi sono messo gli scarponi, ho preso lo zaino e sono partito. Niente saluti, niente programmi precisi, solo il bisogno di muovermi, di lasciare che i passi mi portino lontano da tutto.
Camminare tra i monti non è una cosa che fai per contare calorie o per guardarti allo specchio dopo. È più profondo di così. Parti con le gambe pesanti, il respiro corto, e ogni passo sembra un errore. Ma poi, dopo ore, dopo giorni, qualcosa cambia. Non è che il grasso sparisce magicamente, no, quello è un mito che ci raccontiamo per sentirci meglio. È che il corpo si abitua, si rafforza. La salita che il primo giorno ti spezza, il terzo diventa solo un ritmo, un dialogo tra te e la montagna.
Non uso bilance lassù. Non servono. Il peso che perdo non è solo quello che i numeri possono misurare. È il rumore della testa che si spegne, i pensieri che si fanno più leggeri mentre arranco su un sentiero fangoso o mi fermo a guardare un orizzonte che non finisce mai. Mangio poco, sì, ma non per regola: pane secco, un po’ di formaggio, acqua di sorgente. Non è una dieta, è sopravvivenza. E funziona. Torni giù dopo cinque giorni e i jeans non stringono più come prima, ma non è quello il punto. È la stanchezza che ti salva, quella buona, quella che ti fa sentire vivo.
Dicono che per dimagrire servano schede, palestre, ripetizioni contate. Io non ci credo più. La palestra mi soffoca, il tapis roulant mi annoia. Preferisco il vento che ti taglia la faccia, il sudore che brucia gli occhi, le vesciche ai piedi che ti ricordano che stai facendo qualcosa di vero. Non è per tutti, lo so. Ci vuole tempo, silenzio, un po’ di solitudine. Ma per me è l’unico modo. Ogni passo in salita è un chilo in meno, non sul corpo, forse, ma sull’anima. E alla fine, quando scendi, ti senti diverso. Non perfetto, non “magro” come nei sogni, ma diverso. Più forte, forse.
Voi che fate per scrollarvi di dosso quel peso che non se ne va? Io ho solo questo: i monti, la fatica, il silenzio. E mi basta.
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Ehi, Vampir Toza, sai che c’è? Leggo il tuo post e penso: certo, i monti, il vento in faccia, il silenzio che ti resetta la testa. Tutto bello, poetico, quasi epico. Ma poi mi fermo e mi chiedo: e chi ha il tempo per queste avventure da eremita? Non fraintendermi, capisco il tuo punto, quella stanchezza che ti salva, il peso che se ne va dall’anima prima che dal corpo. È potente, lo ammetto. Ma qua fuori, nella vita vera, con un bimbo che ti urla nelle orecchie e una casa che sembra un campo di battaglia, i tuoi monti sono un lusso che non mi posso permettere.

Sono una mamma in декрете, okay? Dopo il parto, il mio corpo è come un ricordo di chi ero prima, e il tempo per me stessa è un miraggio. Tu parli di sentieri fangosi e orizzonti infiniti, io al massimo faccio i cento metri fino al parco con il passeggino, schivando pozzanghere e cercando di non far cadere il biberon. Eppure, sai una cosa? Anche questo è fatica. Non è la tua salita epica, ma è la mia. E pure io, a modo mio, sto cercando di scrollarmi di dosso quel peso che non se ne va.

Non fraintendermi, non sto dicendo che il tuo metodo non funziona. Camminare in montagna, sudare, sentire il corpo che si ribella e poi si adatta: è roba vera. Ma per uno come te, uomo, senza un neonato attaccato 24/7, è più facile. Non devi incastrare la tua “fatica che salva” tra pappe, pannolini e crisi di pianto. Io invece devo fare i conti con un orologio che non si ferma mai. E allora mi sono organizzata, perché se aspetto il momento perfetto per prendermi cura di me, resto ferma per sempre.

La mia “montagna” è il salotto di casa. Ho trovato un canale YouTube con allenamenti da 20 minuti, roba tosta, che fai mentre il bimbo dorme o gioca per terra. Non è romantico come i tuoi sentieri, ma sudo, impreco e alla fine mi sento un po’ più forte. Mangio meno schifezze, non perché seguo una dieta alla moda, ma perché non ho tempo di cucinare robe elaborate. Frutta, yogurt, un po’ di pollo alla piastra. Non è pane secco e formaggio, ma è il mio “sopravvivere”. E i jeans? Beh, diciamo che iniziano a calzarmi un po’ meglio, ma non è quello il punto, come dici tu. È che ogni squat, ogni piatto sano, ogni passeggiata col passeggino è un modo per ricordarmi che esisto ancora, anche se il mondo sembra girare solo attorno al mio bimbo.

Tu parli di bilance inutili, e su questo ti do ragione. Non mi peso più, perché i numeri mi fanno solo arrabbiare. Ma sento la differenza: le gambe più leggere, il fiato un po’ meno corto quando corro dietro al passeggino. Non è la tua epifania in cima a una vetta, ma è il mio modo di combattere. E sai qual è la cosa buffa? Che alla fine, anche se i nostri “pesi” sono diversi, forse cerchiamo la stessa cosa: sentirci vivi, sentirci noi stessi, nonostante tutto.

Quindi, sì, i tuoi monti sono fighi, ma non snobbare chi si arrangia con quello che ha. La fatica che salva non deve per forza essere epica. A volte è solo alzarsi dal divano mentre il bimbo dorme e fare quei maledetti 20 minuti di esercizi, sapendo che domani sarà uguale, ma forse un po’ meno pesante. Tu continua con i tuoi sentieri, ma dimmi: se non avessi i monti, cosa faresti per scrollarti di dosso quel peso? Perché io, senza il mio salotto e il mio passeggino, non saprei da dove cominciare.
 
Ciao a tutti, o forse no, non so se c’è bisogno di dirlo. È una di quelle giornate in cui il peso non è solo sul corpo, ma anche dentro, sapete? Mi sono messo gli scarponi, ho preso lo zaino e sono partito. Niente saluti, niente programmi precisi, solo il bisogno di muovermi, di lasciare che i passi mi portino lontano da tutto.
Camminare tra i monti non è una cosa che fai per contare calorie o per guardarti allo specchio dopo. È più profondo di così. Parti con le gambe pesanti, il respiro corto, e ogni passo sembra un errore. Ma poi, dopo ore, dopo giorni, qualcosa cambia. Non è che il grasso sparisce magicamente, no, quello è un mito che ci raccontiamo per sentirci meglio. È che il corpo si abitua, si rafforza. La salita che il primo giorno ti spezza, il terzo diventa solo un ritmo, un dialogo tra te e la montagna.
Non uso bilance lassù. Non servono. Il peso che perdo non è solo quello che i numeri possono misurare. È il rumore della testa che si spegne, i pensieri che si fanno più leggeri mentre arranco su un sentiero fangoso o mi fermo a guardare un orizzonte che non finisce mai. Mangio poco, sì, ma non per regola: pane secco, un po’ di formaggio, acqua di sorgente. Non è una dieta, è sopravvivenza. E funziona. Torni giù dopo cinque giorni e i jeans non stringono più come prima, ma non è quello il punto. È la stanchezza che ti salva, quella buona, quella che ti fa sentire vivo.
Dicono che per dimagrire servano schede, palestre, ripetizioni contate. Io non ci credo più. La palestra mi soffoca, il tapis roulant mi annoia. Preferisco il vento che ti taglia la faccia, il sudore che brucia gli occhi, le vesciche ai piedi che ti ricordano che stai facendo qualcosa di vero. Non è per tutti, lo so. Ci vuole tempo, silenzio, un po’ di solitudine. Ma per me è l’unico modo. Ogni passo in salita è un chilo in meno, non sul corpo, forse, ma sull’anima. E alla fine, quando scendi, ti senti diverso. Non perfetto, non “magro” come nei sogni, ma diverso. Più forte, forse.
Voi che fate per scrollarvi di dosso quel peso che non se ne va? Io ho solo questo: i monti, la fatica, il silenzio. E mi basta.
Ehi, sai, leggendo il tuo post mi sono ritrovato a fare un cenno con la testa, come se fossi lì con te su quel sentiero. Quello che dici dei monti, del silenzio, della fatica che ti salva… colpisce dritto. Io non sono uno da scarponi e zaino, ma capisco quel bisogno di muoverti per alleggerirti, dentro e fuori. La mia “montagna” è diversa, ma il succo è lo stesso: il movimento che ti rimette in pace con te stesso.

Per me tutto è iniziato con il cardio. Non parlo di quelle sessioni in palestra con l’aria condizionata e la musica pop di sottofondo, no. Parlo di correre all’alba, con il freddo che ti morde le guance, o di saltare come un matto in un allenamento HIIT in un parco, con l’erba che ti si attacca alle scarpe. Oppure, e questa è la mia droga, ballare. Non so se lo hai mai provato, ma c’è qualcosa di liberatorio nel lasciarti andare a un ritmo, sudare, sentire il cuore che pompa. Non è solo esercizio, è come se ogni passo, ogni salto, ogni giravolta portasse via un pezzetto di quel peso che ti trascini dietro.

Non fraintendermi, non sono uno di quelli che vive per lo sport. Anni fa, quando ho iniziato, ero il primo a odiare l’idea di muovermi. Pesavo troppo, mi sentivo goffo, e ogni volta che provavo a correre dopo due minuti volevo morire. Ma ho trovato il mio ritmo, un po’ come te con le tue salite. Ho iniziato piano, con corse brevi, poi ho provato il HIIT perché volevo qualcosa di veloce che mi facesse sentire di aver fatto “abbastanza”. E poi è arrivata la danza: zumba, hip-hop, anche qualche serata in cui mi chiudevo in casa e ballavo da solo come un idiota. Non importa cosa facevo, l’importante era il movimento. Mi ha cambiato.

Non tengo diari alimentari né conto le calorie. Non sono mai stato bravo con le regole. Però ho notato che quando mi muovo tanto, il mio corpo chiede cose diverse. Non ho voglia di abbuffarmi, non mi serve quel pacco di patatine per sentirmi a posto. Mangio quello che mi va, ma in modo naturale finisco per scegliere roba più leggera: un’insalata, un po’ di frutta, un piatto di pasta che non mi appesantisca. Non è una dieta, è solo che il corpo si regola da solo quando lo ascolti. E il movimento, almeno per me, è il modo per ascoltarlo.

Quello che mi piace del cardio è che non hai bisogno di niente. Non servono attrezzi, non serve un posto speciale. Puoi correre ovunque, ballare in salotto, fare un HIIT in un angolo di casa con un video su YouTube. E non è solo il corpo che cambia. Certo, i chili scendono, i jeans entrano meglio, ma è la testa che ringrazia di più. Dopo una sessione intensa, quando sei stanco morto ma soddisfatto, i pensieri pesanti si fanno più leggeri. È come se il sudore portasse via anche un po’ di ansia, di stress, di quella sensazione di essere sempre “di troppo”.

Non dico che sia la soluzione per tutti. Ognuno ha il suo sentiero, come dici tu. I tuoi monti, la mia corsa, il ballo, il salto. Ma credo che alla fine sia lo stesso viaggio: trovare qualcosa che ti fa sentire vivo, che ti ricorda che il tuo corpo non è solo un peso da trascinare, ma qualcosa che può portarti lontano. Io ho il mio ritmo, fatto di playlist sparate nelle cuffie e di mattine in cui mi alzo presto per correre prima che il mondo si svegli. Non è perfetto, non sono perfetto, ma va bene così.

Tu continui con i tuoi monti, io con il mio cardio. Alla fine, l’importante è muoversi, no? Dimmi, c’è mai stato qualcosa che ti ha fatto venir voglia di provare un ritmo diverso, magari una corsa o un ballo, o sei fedele solo ai sentieri?