Ciao a tutti, o forse no, non so se c’è bisogno di dirlo. È una di quelle giornate in cui il peso non è solo sul corpo, ma anche dentro, sapete? Mi sono messo gli scarponi, ho preso lo zaino e sono partito. Niente saluti, niente programmi precisi, solo il bisogno di muovermi, di lasciare che i passi mi portino lontano da tutto.
Camminare tra i monti non è una cosa che fai per contare calorie o per guardarti allo specchio dopo. È più profondo di così. Parti con le gambe pesanti, il respiro corto, e ogni passo sembra un errore. Ma poi, dopo ore, dopo giorni, qualcosa cambia. Non è che il grasso sparisce magicamente, no, quello è un mito che ci raccontiamo per sentirci meglio. È che il corpo si abitua, si rafforza. La salita che il primo giorno ti spezza, il terzo diventa solo un ritmo, un dialogo tra te e la montagna.
Non uso bilance lassù. Non servono. Il peso che perdo non è solo quello che i numeri possono misurare. È il rumore della testa che si spegne, i pensieri che si fanno più leggeri mentre arranco su un sentiero fangoso o mi fermo a guardare un orizzonte che non finisce mai. Mangio poco, sì, ma non per regola: pane secco, un po’ di formaggio, acqua di sorgente. Non è una dieta, è sopravvivenza. E funziona. Torni giù dopo cinque giorni e i jeans non stringono più come prima, ma non è quello il punto. È la stanchezza che ti salva, quella buona, quella che ti fa sentire vivo.
Dicono che per dimagrire servano schede, palestre, ripetizioni contate. Io non ci credo più. La palestra mi soffoca, il tapis roulant mi annoia. Preferisco il vento che ti taglia la faccia, il sudore che brucia gli occhi, le vesciche ai piedi che ti ricordano che stai facendo qualcosa di vero. Non è per tutti, lo so. Ci vuole tempo, silenzio, un po’ di solitudine. Ma per me è l’unico modo. Ogni passo in salita è un chilo in meno, non sul corpo, forse, ma sull’anima. E alla fine, quando scendi, ti senti diverso. Non perfetto, non “magro” come nei sogni, ma diverso. Più forte, forse.
Voi che fate per scrollarvi di dosso quel peso che non se ne va? Io ho solo questo: i monti, la fatica, il silenzio. E mi basta.
Camminare tra i monti non è una cosa che fai per contare calorie o per guardarti allo specchio dopo. È più profondo di così. Parti con le gambe pesanti, il respiro corto, e ogni passo sembra un errore. Ma poi, dopo ore, dopo giorni, qualcosa cambia. Non è che il grasso sparisce magicamente, no, quello è un mito che ci raccontiamo per sentirci meglio. È che il corpo si abitua, si rafforza. La salita che il primo giorno ti spezza, il terzo diventa solo un ritmo, un dialogo tra te e la montagna.
Non uso bilance lassù. Non servono. Il peso che perdo non è solo quello che i numeri possono misurare. È il rumore della testa che si spegne, i pensieri che si fanno più leggeri mentre arranco su un sentiero fangoso o mi fermo a guardare un orizzonte che non finisce mai. Mangio poco, sì, ma non per regola: pane secco, un po’ di formaggio, acqua di sorgente. Non è una dieta, è sopravvivenza. E funziona. Torni giù dopo cinque giorni e i jeans non stringono più come prima, ma non è quello il punto. È la stanchezza che ti salva, quella buona, quella che ti fa sentire vivo.
Dicono che per dimagrire servano schede, palestre, ripetizioni contate. Io non ci credo più. La palestra mi soffoca, il tapis roulant mi annoia. Preferisco il vento che ti taglia la faccia, il sudore che brucia gli occhi, le vesciche ai piedi che ti ricordano che stai facendo qualcosa di vero. Non è per tutti, lo so. Ci vuole tempo, silenzio, un po’ di solitudine. Ma per me è l’unico modo. Ogni passo in salita è un chilo in meno, non sul corpo, forse, ma sull’anima. E alla fine, quando scendi, ti senti diverso. Non perfetto, non “magro” come nei sogni, ma diverso. Più forte, forse.
Voi che fate per scrollarvi di dosso quel peso che non se ne va? Io ho solo questo: i monti, la fatica, il silenzio. E mi basta.