Ciao a tutti, o forse no, magari siete solo ombre nella mia testa che leggono queste righe mentre il mondo là fuori continua a girare. Non importa. Oggi vi racconto di quando la mia mente ha deciso di fare a pugni con se stessa, urlando "basta!" così forte che il mio corpo non ha avuto scelta se non seguirla. È stata una guerra assurda, una di quelle che non capisci nemmeno mentre la stai combattendo.
Ero un disastro. Non sto parlando solo dei chili, che pure erano tanti, tipo una montagna che mi portavo dietro ogni giorno. Parlo della testa, di quel casino di pensieri che mi diceva "mangia, tanto ormai sei così", "non ce la farai mai", "a cosa serve provarci?". Mi guardavo allo specchio e vedevo un estraneo, uno che non riconoscevo più. Poi un giorno, non so neanche perché, qualcosa è scattato. Non è stata una di quelle illuminazioni da film, con la musica epica in sottofondo. È stato più un grido silenzioso, un "non ne posso più" che mi è esploso dentro.
Ho iniziato senza un piano preciso. Altro che diete perfette o personal trainer da copertina. Ho buttato via le regole, quelle che ti dicono "devi fare così" o "mangia solo questo". Mi sono ascoltato, per la prima volta dopo anni. Se avevo voglia di una mela, mangiavo una mela. Se il mio corpo mi chiedeva di muovermi, camminavo, anche solo intorno all’isolato, con la pioggia che mi inzuppava e il fiatone che mi ricordava quanto fossi fuori forma. Non era logico, non era organizzato. Era caos, ma un caos che funzionava per me.
Le difficoltà? Tante. La testa è una bestia schifosa, ti sabota quando meno te lo aspetti. C’erano giorni in cui mi vedevo ancora come quello di prima, anche se la bilancia diceva altro. C’erano momenti in cui volevo mollare, tornare al divano e alle abbuffate, perché era più facile. Ma sapete cosa mi ha salvato? Non mollare mai del tutto. Anche quando cadevo, mi rialzavo, magari dopo ore, magari dopo giorni. Non era una questione di forza, ma di testardaggine. E di rabbia, sì, rabbia contro me stesso e contro quel "me" che mi teneva incatenato.
Cosa ha funzionato? Non cercate una formula magica, perché non ce l’ho. Non è stato il kale o i workout da Instagram. È stato capire che non dovevo essere perfetto, ma solo iniziare a volermi bene, un po’ alla volta. Ho smesso di pesarmi ogni giorno, perché i numeri mi mandavano fuori di testa. Ho smesso di confrontarmi con gli altri, perché tanto ognuno ha la sua strada. Ho trovato il mio ritmo, assurdo, incasinato, ma mio.
Oggi sono qui, più leggero di tanti chili e con una testa che non urla più "basta", ma sussurra "ce l’hai fatta". Non è stata una vittoria da manuale, ma una di quelle sporche, sudate, reali. E se ce l’ho fatta io, con tutto il mio casino, forse c’è speranza anche per voi, ombre o no che siate.
Ero un disastro. Non sto parlando solo dei chili, che pure erano tanti, tipo una montagna che mi portavo dietro ogni giorno. Parlo della testa, di quel casino di pensieri che mi diceva "mangia, tanto ormai sei così", "non ce la farai mai", "a cosa serve provarci?". Mi guardavo allo specchio e vedevo un estraneo, uno che non riconoscevo più. Poi un giorno, non so neanche perché, qualcosa è scattato. Non è stata una di quelle illuminazioni da film, con la musica epica in sottofondo. È stato più un grido silenzioso, un "non ne posso più" che mi è esploso dentro.
Ho iniziato senza un piano preciso. Altro che diete perfette o personal trainer da copertina. Ho buttato via le regole, quelle che ti dicono "devi fare così" o "mangia solo questo". Mi sono ascoltato, per la prima volta dopo anni. Se avevo voglia di una mela, mangiavo una mela. Se il mio corpo mi chiedeva di muovermi, camminavo, anche solo intorno all’isolato, con la pioggia che mi inzuppava e il fiatone che mi ricordava quanto fossi fuori forma. Non era logico, non era organizzato. Era caos, ma un caos che funzionava per me.
Le difficoltà? Tante. La testa è una bestia schifosa, ti sabota quando meno te lo aspetti. C’erano giorni in cui mi vedevo ancora come quello di prima, anche se la bilancia diceva altro. C’erano momenti in cui volevo mollare, tornare al divano e alle abbuffate, perché era più facile. Ma sapete cosa mi ha salvato? Non mollare mai del tutto. Anche quando cadevo, mi rialzavo, magari dopo ore, magari dopo giorni. Non era una questione di forza, ma di testardaggine. E di rabbia, sì, rabbia contro me stesso e contro quel "me" che mi teneva incatenato.
Cosa ha funzionato? Non cercate una formula magica, perché non ce l’ho. Non è stato il kale o i workout da Instagram. È stato capire che non dovevo essere perfetto, ma solo iniziare a volermi bene, un po’ alla volta. Ho smesso di pesarmi ogni giorno, perché i numeri mi mandavano fuori di testa. Ho smesso di confrontarmi con gli altri, perché tanto ognuno ha la sua strada. Ho trovato il mio ritmo, assurdo, incasinato, ma mio.
Oggi sono qui, più leggero di tanti chili e con una testa che non urla più "basta", ma sussurra "ce l’hai fatta". Non è stata una vittoria da manuale, ma una di quelle sporche, sudate, reali. E se ce l’ho fatta io, con tutto il mio casino, forse c’è speranza anche per voi, ombre o no che siate.