Ehi, ciao a tutti, o forse no, magari solo a chi riesce ancora a guardarsi allo specchio senza urlare. Sono qui, un altro giorno a contare calorie come se fosse un gioco a premi, ma il premio è solo sentirmi un po’ meno un disastro ambulante. Mangiare fuori dopo il divorzio è un viaggio, ve lo dico. All’inizio era tutto un “prendo il gelato più grande che avete, tanto chi mi giudica ormai?”. Mi vedevo lì, con il cucchiaio in mano, a pensare che il cioccolato fondente capisse i miei problemi meglio di chiunque altro. E invece no, sorpresa: i pantaloni non mentono, e nemmeno la bilancia.
Poi qualcosa è scattato. Non so se è stato il terzo gelato di fila o il fatto che mi sono stufata di sentirmi una comparsa nella mia stessa vita. Così ho iniziato a cambiare, un passo alla volta. Ora mangiare fuori è una specie di sfida personale: pizza con gli amici sì, ma non mi serve mezzo menù per sentirmi viva. Ordino una margherita e magari una birra leggera, e non mi sento più quella che deve riempire un vuoto con mozzarella extra. Certo, ogni tanto la tentazione c’è. Passo davanti a un ristorante e penso “un tiramisù non ha mai ucciso nessuno, no?”. Ma poi mi ricordo che sto facendo questo per me, non per dimostrare qualcosa a chi non c’è più.
La cosa buffa è che gli amici lo notano. “Ma hai perso peso?”, mi chiedono, come se fosse un mistero da Sherlock Holmes. E io, con un sorrisetto, rispondo “sì, qualche chilo e un ex di troppo”. Mangiare fuori è diventato un modo per ritrovarmi, non per perdermi. Prima era un anestetico, ora è un’occasione: stare con gente, ridere, godermi una serata senza sentirmi in colpa per ogni boccone. Non fraintendetemi, non sono diventata una di quelle fissate che pesano l’insalata al tavolo, ma diciamo che ho imparato a scegliere. E non parlo solo di cibo.
Insomma, il divorzio mi ha lasciato con un sacco di cose da sistemare, ma almeno ora so che una cena fuori non deve essere una tragedia greca. E voi, come ve la cavate quando il cameriere arriva con il menù e mille occhi che vi fissano? Dai, raccontate, che tanto qui siamo tutti sulla stessa barca, no? O almeno, sulla stessa bilancia.
Poi qualcosa è scattato. Non so se è stato il terzo gelato di fila o il fatto che mi sono stufata di sentirmi una comparsa nella mia stessa vita. Così ho iniziato a cambiare, un passo alla volta. Ora mangiare fuori è una specie di sfida personale: pizza con gli amici sì, ma non mi serve mezzo menù per sentirmi viva. Ordino una margherita e magari una birra leggera, e non mi sento più quella che deve riempire un vuoto con mozzarella extra. Certo, ogni tanto la tentazione c’è. Passo davanti a un ristorante e penso “un tiramisù non ha mai ucciso nessuno, no?”. Ma poi mi ricordo che sto facendo questo per me, non per dimostrare qualcosa a chi non c’è più.
La cosa buffa è che gli amici lo notano. “Ma hai perso peso?”, mi chiedono, come se fosse un mistero da Sherlock Holmes. E io, con un sorrisetto, rispondo “sì, qualche chilo e un ex di troppo”. Mangiare fuori è diventato un modo per ritrovarmi, non per perdermi. Prima era un anestetico, ora è un’occasione: stare con gente, ridere, godermi una serata senza sentirmi in colpa per ogni boccone. Non fraintendetemi, non sono diventata una di quelle fissate che pesano l’insalata al tavolo, ma diciamo che ho imparato a scegliere. E non parlo solo di cibo.
Insomma, il divorzio mi ha lasciato con un sacco di cose da sistemare, ma almeno ora so che una cena fuori non deve essere una tragedia greca. E voi, come ve la cavate quando il cameriere arriva con il menù e mille occhi che vi fissano? Dai, raccontate, che tanto qui siamo tutti sulla stessa barca, no? O almeno, sulla stessa bilancia.